domenica 20 dicembre 2015

Con la visura camerale dell'emittente la fattura generica è deducibile

Per la Provinciale di Roma, non rileva l’omessa dichiarazione da parte dell’emittente

Gli importi afferenti ad una fattura recante una descrizione generica sono comunque deducibili se l’emittente risulta iscritto al Registro delle imprese, potendosi da ciò ragionevolmente desumere la sussistenza e l’inerenza del rapporto commerciale sotteso alla fattura, e non rilevando la mancata presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte di tale emittente. È quanto stabilito dalla C.T. Prov. di Roma, con la sentenza n. 2553/4/15.

La Cassazione ha spesso ribadito che la fattura è, di regola (salva l’ipotesi di contabilità inattendibile), documento idoneo a rappresentare un costo dell’impresa, purché sia redatta in conformità ai requisiti di forma e contenuto prescritti dall’art. 21 del DPR 633/72, tra i quali l’indicazione dell’oggetto e del corrispettivo dell’operazione. Normalmente, pertanto, una regolare fattura, lasciando presumere la verità di quanto in essa rappresentato, costituisce titolo per il contribuente ai fini della deduzione del costo indicato; a fronte dell’esibizione di una tale fattura, spetta all’Ufficio dimostrare (anche attraverso presunzioni semplici) il difetto delle condizioni per la detta deduzione (ex pluris, Cass. nn. 23065/2015 e 14704/2014).

Va da sé che il principio testé riportato non vale per la fattura irregolare, ovvero per il documento che non presenta tutti i requisiti previsti dalla normativa poc’anzi richiamata, tra cui l’indicazione della “natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell’operazione”. Ciò accade, tipicamente, quando la descrizione della fattura è generica o vaga, non consentendo neppure di individuare puntualmente quale sia l’operazione sottesa.

La Cassazione ha così negato la deducibilità, per carenza del requisito di inerenza di cui all’art. 109 comma 5 del TUIR, dei costi relativi a fatture caratterizzate da genericità della descrizione della prestazione, indicata con la dicitura “con la presente vi rimettiamo fattura per consulenza tecnico-commerciale relativa al mese …” (Cass. n. 21184/2014).
Di recente, la sentenza della Cassazione n. 7214/2015 ha di nuovo negato la deducibilità dei costi afferenti a fatture caratterizzate da genericità, ancorché supportate da un contratto, ritenuto anch’esso contraddistinto da indeterminatezza, tanto che il Fisco era impossibilitato a verificare natura, quantità e congruenza del corrispettivo dei servizi prestati. Del resto, la Guardia di Finanza, con la circolare n. 1/2008, ha stabilito che, in sede di controllo, gli agenti verificatori non possono limitarsi a verificare la semplice annotazione nella contabilità di fatture riportanti la generica indicazione dell’oggetto della prestazione ricevuta, in quanto tale dato non è sufficiente a provare l’inerenza del costo all’attività dell’impresa. A tal fine, è ulteriormente necessaria l’esistenza di un documento che attesti la ragione giuridica dell’operazione per la quale è stata emessa la fattura.

In sostanza, si potrebbe concludere che la genericità della fattura costituisce un elemento presuntivo a favore del Fisco, che, sulla base di ciò, può disconoscere la deduzione del relativo costo, ponendo a carico del contribuente l’onere di dimostrare, mediante l’ostensione di ulteriore materiale documentale probatorio, la sussistenza del titolo giustificativo dell’operazione oggetto di fatturazione, alla luce del principio di inerenza già sopra menzionato.

Con la pronuncia di merito in commento, i giudici romani hanno accolto la prova presuntiva fornita dal contribuente circa la sussistenza e l’inerenza del rapporto commerciale sotteso alla “generica” fattura contestata, ovvero l’iscrizione al Registro delle imprese del soggetto che aveva emesso la fattura, emittente che, peraltro, non aveva presentato alcuna dichiarazione dei redditi e col quale neppure era stato sottoscritto un contratto.

Se è ben vero che un contratto scritto non sempre è necessario e, come nel caso di specie, quando trattasi di rapporti occasionali, non di frequente viene predisposto, è tuttavia opportuno evidenziare che la prassi di munirsi di tali contratti è certamente opportuna, tanto più ai fini fiscali, e soprattutto quando le operazioni commerciali, così come in questo caso, consistano in prestazioni di servizi ed, in particolare, in provvigioni per mediazioni. I contratti, infatti, possono fornire un buon supporto documentale probatorio (specie se aventi data certa) per la deducibilità dei costi.

Riguardo, infine, alla decisione per cui sarebbe sufficiente l’iscrizione alla Camera di commercio da parte dell’emittente la fattura, unitamente al pagamento della stessa, per integrare il requisito di certezza ed inerenza del relativo costo, tanto da consentirne la deducibilità, è opportuno evidenziare che tale motivazione potrebbe essere non conforme ai principi sanciti dalla Suprema Corte e sopra evidenziati, tanto più che i giudici di merito non argomentano per quale ragione tale iscrizione sia idonea a far presumere l’esistenza e l’inerenza del rapporto commerciale sotteso al documento di spesa, quando è noto che le fatture ed i pagamenti e gli altri elementi formali delle operazioni commerciali sono sempre presenti in caso – ad esempio – di operazioni inesistenti (ex pluris, Cass. n. 10793/2015, in cui si fa proprio riferimento all’irrilevanza di elementi formali, quali le visure camerali che attestino l’esistenza del soggetto emittente).