giovedì 23 agosto 2018

Mentre il fisco Usa si fa bello per i "grandi", quello italiano li spaventa

Mentre gli USA approntano riforme fiscali tarate apposta per costruire un ambiente fiscale favorevole alle grandi imprese multinazionali, in Italia si discute di ampliare il regime fiscale delle cosiddette “partite IVA minime” e si promette battaglia alla “evasione dei grandi”.

C’è davvero qualcosa che non va in tutto questo ed il rischio, per il nostro Paese più ancora che per altri Paesi Ue comunque a rischio insieme a noi, è veramente quello di bissare, in modo ancora più drammatico, quello che è già accaduto una generazione fa.

L’incapacità di costruire un sistema fiscale competitivo 25 anni fa, di fronte all’affermarsi dell’era della globalizzazione dell’economia, ha infatti prodotto un significativo depauperamento del tessuto produttivo italiano per effetto del fenomeno della delocalizzazione (ben diverso da quello, positivo e da sostenere, della internazionalizzazione).

Oggi, di fronte all’affermarsi dell’era della digitalizzazione e della “smaterializzazione” di una fetta sempre più ampia dell’economia e della catena del valore, ripetere l’errore significherebbe andare incontro alla “desertificazione digitale e immateriale” a favore di altri Paesi.

Gli Stati Uniti, con la riforma Trump in vigore da quest’anno, hanno fatto la loro scelta: poco spazio, sulle questioni “vere”, alla concertazione multilaterale in sede OCSE e via libera a un sistema fiscale costruito apposta per favorire in modo particolare le grandi imprese multinazionali che traggono i propri profitti dall’impiego economico di beni immateriali nell’economia digitale e non solo (si veda “Con la riforma fiscale «made in Trump», gli Usa lanciano una sfida all’Ue” dell’11 agosto 2018).A fronte di questo, l’Ue ha, tardivamente ma pur sempre finalmente, avviato l’iter per introdurre una digital tax europea (Piano B) fino a quando non si creeranno le condizioni politiche per tornare a quella concertazione fiscale internazionale che consenta di risolvere la questione in modo più civile e organico, mediante l’introduzione della nozione di “stabile organizzazione digitale” basata sul concetto di “presenza digitale significativa”. E l’Italia come intende muoversi in questo quadro? Mistero. Pur tra imprecisioni, conoscenza approssimativa del quadro complessivo e, in taluni casi, gravi errori tecnici, il dibattito sul tema della tassazione dell’economia digitale è stato molto intenso durante gli anni della passata legislatura (2013-2017).Da un lato, questo dibattito ha prodotto anche nel nostro Paese, l’introduzione, tardiva ma opportuna, di un regime (il Patent box) che, esattamente come la più recente riforma Trump negli USA, mira ad agevolare il mantenimento degli asset immateriali ad alto valore aggiunto in capo a società residenti, ma che, a differenza della recente riforma USA, rispetta i canoni e i limiti concordati in sede multilaterale OCSE, risultando così assai più macchinoso, meno appetibile e quindi meno “aggressivo” nella concorrenza tra Stati (si veda “La «pagliuzza» nel Patent box italiano e la «trave» nella riforma Trump” del 30 luglio 2018).Dall’altro, questo dibattito ha generato vari tentativi di digital tax “ante Ue” che però, proprio per il totale appiattimento, anche oltre il dovuto e l’opportuno, di taluni ambienti politici e tecnici italiani alla “compliance Ue”, non hanno prodotto nulla di concreto, al netto di una classica misura da “ultima legge di bilancio ante elezioni” con entrata in vigore demandata a un decreto attuativo che, post elezioni, è scomparso come da prassi da tutti i radar. Oggi che il pedissequo rispetto per il multilateralismo e la “compliance Ue” è senza dubbio meno presente di prima nel sentiment politico della maggioranza e del Governo, sarebbe lecito attendersi un fiorire di progetti sul fronte digital tax, a prescindere dai tempi e dalle procedure europee in corso, nonché di regimi fiscali volti a rendere particolarmente appetibile l’Italia quale Paese di residenza delle grandi società multinazionali, al pari di quanto accaduto negli USA.

Sarebbe il “lato positivo” di quella maggiore autonomia politica che, sull’altro piatto della bilancia, porta inevitabilmente (e sta purtroppo portando) tensioni finanziarie e conseguenti maggiori costi sul debito sovrano.

Invece il nulla: dei “grandi” si parla soltanto per assicurare che su di essi si concentrerà la “lotta all’evasione”, senza rendersi conto che questo approccio, senza una digital tax, lascia indenni le grandi multinazionali della digital economy con sede negli Usa e suscita invece legittime preoccupazioni nei medi e grandi gruppi multinazionali dell’economia tradizionale, con sede in Italia, che probabilmente guarderanno presto anche loro agli Usa o ad altri Paesi che ragionano in termini di competitività fiscale, piuttosto che di minacce fiscali.

È auspicabile che questi temi tornino quanto prima nell’agenda del dibattito politico nazionale sul fisco.

Software appositi per aprire le fatture elettroniche con firma "CAdES"

Nell’ambito delle FAQ pubblicate sul sito di assistenza della piattaforma “Fatture e Corrispettivi”, l’Agenzia delle Entrate ha fornito nuovi chiarimenti operativi in tema di fatturazione elettronica. Con una risposta datata 3 agosto 2018, infatti, vengono illustrate le modalità per visualizzare una fattura elettronica in formato “.xml.p7m”, ricevuta, ad esempio, in allegato a mail provenienti dai domini “@pec.fatturapa.it” ovvero “@pcert.sogei.it”.L’Agenzia spiega che, con l’estensione dell’obbligo di fatturazione elettronica alla generalità delle cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate in ambito B2B, disposta dalla legge di bilancio 2018, gli operatori (soggetti passivi IVA e intermediari) riceveranno con sempre maggiore frequenza, sulla propria casella PEC, messaggi con allegati che presentano estensione “.xml.p7m”. Si tratta di “file fattura” firmati digitalmente con firma elettronica “CAdES”.Per aprire tali file sarà necessario installare sul proprio dispositivo appositi software, facilmente reperibili sul web, sia a pagamento che gratuitamente (software “open source”).Una volta “decifrata” la firma digitale, il file “xml” potrà essere visualizzato in formato “html” utilizzando una delle funzionalità presenti sul sito “Fatture e Corrispettivi”, ossia la funzionalità “Visualizzare la fattura” all’interno dell’area “Fatturazione elettronica”.

sabato 11 agosto 2018

Liquidatore responsabile se la società è cancellata prima dell'accertamento

Secondo la Commissione Tributaria Regionale di Firenze, la definitività del debito non è necessaria per l’art. 36 del DPR 602/73
 
Il liquidatore è legittimamente destinatario dell’avviso di accertamento, relativamente ai debiti tributari della società ai sensi dell’art. 36 del DPR 602/73, emesso nei confronti di una società che, nel frattempo, si è estinta, con conseguente cancellazione dal Registro delle imprese.
Inoltre, la modifica del DLgs. 175/2014, che, innovando l’art. 19 del DLgs. 46/99, ha esteso la responsabilità ex art. 36 a tutte le imposte (non essendo, quindi, più circoscritta alle imposte sui redditi), non è retroattiva. [Commissione tributaria regionale di Firenze con la sentenza n. 510/1/18 depositata il 13 marzo 2018].
 
I giudici di merito sottolineano come non sia corretto ritenere illegittimo l’accertamento ex art. 36 sulla base della mancanza di debiti tributari certi e definitivi a carico della società.
Se il consolidamento dell’obbligazione tributaria in capo alla società costituisse il presupposto essenziale per poter esercitare l’azione di recupero delle imposte nei confronti del liquidatore, infatti, si dovrebbe necessariamente concludere nel senso che la cancellazione della società pone fine ad ogni possibilità di esercizio del potere di accertamento (almeno nel sistema ante art. 28 comma 4 del DLgs. 175/2014, di cui la sentenza non parla).In altre parole, i soci potrebbero avvalersi di tale schermo, scegliendo in modo volontario e consapevole il momento opportuno per estinguere la società e conseguire redditi extracontabili.
Sul punto, esiste un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, per poter azionare l’art. 36, occorre che i ruoli relativi all’accertamento siano, almeno, stati posti in riscossione (per tutte, Cass. 13 luglio 2012 n. 11968).Ma, a ben vedere, anche questo orientamento potrebbe ritenersi poco compatibile con il sistema attuale, in cui dalla cancellazione consegue l’irreversibile estinzione dell’ente, a differenza dello schema ante DLgs. 6/2003, in cui la società esisteva sino all’esaurimento dell’ultimo debito.
Comunque, a nostro avviso al liquidatore va sempre attribuita la possibilità di difendersi censurando il merito della pretesa.
Sul punto, si segnala la C.T. Reg. Ancona 8 marzo 2016 n. 150/3/16, con la quale si afferma che l’ente impositore può azionare la responsabilità dei soci di società di capitali ex art. 36 comma 3 del DPR 602/73 nonostante manchi la prova certa in merito alla distribuzione degli utili extracontabili agli stessi, posto che “altrimenti, si sarebbero dovuti rinvenire detti utili nel patrimonio della società al termine della liquidazione, circostanza, questa, che non pare essersi verificata”.

giovedì 9 agosto 2018

I TRE SETACCI DI SOCRATE

Nell'antica Grecia Socrate aveva una grande reputazione di saggezza.


Un giorno venne qualcuno a trovare il grande filosofo, e gli disse: "Sai cosa ho appena sentito sul tuo amico?"


"Un momento", rispose Socrate, "Prima che me lo racconti, vorrei farti un test, quello dei tre setacci."


"I tre setacci?"


"Sì", continuò Socrate. "Prima di raccontare ogni cosa sugli altri, è bene prendere il tempo di filtrare ciò che si vorrebbe dire. Io lo chiamo il test dei tre setacci. Il primo setaccio è la verità. Hai verificato se quello che mi dirai è VERO?"


"No… ne ho solo sentito parlare."


"Molto bene. Quindi non sai se è la verità. Continuiamo col secondo setaccio, quello della bontà. Quello che vuoi dirmi sul mio amico, è qualcosa di BUONO?"


"Ah no, al contrario!"


"Dunque", continuò Socrate, "vuoi raccontarmi brutte cose su di lui e non sei nemmeno certo che siano vere. Forse puoi ancora passare il test, rimane il terzo setaccio, quello dell'utilità. È UTILE che io sappia cosa avrebbe fatto questo amico?"


"No, davvero."


"Allora", concluse Socrate, "se ciò che volevi raccontarmi non è né vero, né buono, né utile, io preferisco non saperlo; e consiglio a te di dimenticarlo."


PRIVACY - APPROVAZIONE DLGS 8.7.2018 FASE TRANSITORIA DI MESI 8

Il Consiglio dei Ministri ha approvato ieri lo schema di DLgs. recante disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale al Regolamento Ue 679/2016 (GDPR), relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE, predisposto in attuazione della delega contenuta nell’art. 13 della Legge di delegazione europea 2016-2017 (L. 163/2017).

Il testo accompagna i pareri favorevoli espressi, con condizioni e osservazioni, sia dalle Commissioni speciali della Camera e del Senato per la valutazione degli atti del Governo, sia dal Garante della protezione dei dati personali.

Consenso dei minori

Riguardo alla enunciazione originaria dello schema di DLgs., si avverte la variazione dell’art. 2-quinquies del Codice, in materia di consenso del minore in relazione ai servizi della società dell’informazione,  (si tratta, ad esempio, così come precisato nella Relazione illustrativa, dei trattamenti di dati conseguenti all’iscrizione a social network o a servizi di messaggistica). Arriva, in particolare, sostituito il riferimento dei 16 anni prima previsto con quello di 14 anni, per poter esprimere il consenso al trattamento dei propri dati personali con riguardo a tali servizi; al disotto di tale limite di età, il consenso può essere espresso in maniera valida solo dai soggetti che esercitano la responsabilità genitoriale.

Viene, poi, precisato che le informazioni e le comunicazioni relative a tale trattamento devono essere redatte dal titolare del trattamento con linguaggio, oltre che particolarmente chiaro e semplice, facilmente accessibile e comprensibile dal minore (come già previsto nel precedente schema di DLgs.), anche conciso ed esaustivo, al fine di rendere “significativo” il consenso prestato.

Un riferimento specifico ai minori di età è stato aggiunto, poi, all’art. 132-quater del Codice, rispetto ai quali il fornitore di un servizio di comunicazione elettronica accessibile al pubblico deve prestare “particolare attenzione” ai fini del rilascio dell’informativa sulla sussistenza di particolari rischi di violazione della sicurezza della rete.

All’art. 2-undecies del Codice, relativo alle limitazioni ai diritti dell’interessato, viene aggiunto, fra i casi di esclusione dall’esercizio dei diritti di cui agli artt. 15-22 del Regolamento (fra i quali, ad esempio, il diritto di ottenere l’accesso ai dati personali), quello dell’eventuale pregiudizio (effettivo e concreto) che deriverebbe alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala l’illecito di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio ai sensi della L. 179/2017 (Tutela del “whistleblowing”).

 

Riservatezza dell’identità del dipendente

Viene, poi, modificato l’art. 111-bis del Codice, relativo ai casi di ricezione dei Curriculum Vitae volontariamente trasmessi al fine della apertura di un rapporto di lavoro, chiarendo meglio la formulazione del testo: l’informativa sul trattamento di questi dati (art. 13 del Regolamento) viene fornita al momento del primo contatto utile, successivo all’invio del curriculum stesso. Il consenso al trattamento dei dati personali presenti nei curricula non è dovuto (nei limiti in cui il trattamento sia necessario all’esecuzione di un contratto di cui l’interessato è parte o all’esecuzione di misure precontrattuali adottate su richiesta dello stesso; art. 6, par. 1, lett. b) del Regolamento).

Risulta ancora il mantenimento, sia pur con lo spostamento sotto l’art. 154-bis del Codice, della previsione che riconosce al Garante della privacy la possibilità di promuovere, in considerazione delle esigenze di semplificazione delle micro, piccole e medie imprese, modalità semplificate di adempimento degli obblighi del titolare del trattamento, nell’ambito delle linee guida di indirizzo riguardanti le misure organizzative e tecniche di attuazione dei principi del Regolamento.

Quanto alle autorizzazioni generali già adottate (relative a determinate situazioni di trattamento, fra le quali, ad esempio, quelle di cui all’art. 9, par. 2, lett. b) del Regolamento, che disciplina il trattamento di dati particolari nel campo del diritto del lavoro e della sicurezza sociale e protezione sociale), sottoposte a verifica di compatibilità e ritenute dal Garante della privacy incompatibili con il Regolamento, ne viene prevista la cessazione dal momento della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del provvedimento generale del Garante medesimo (al posto del termine prima contenuto di 90 giorni alla data di entrata in vigore del DLgs.).

 

Viene, poi, modificata rispetto allo schema di DLgs. approvato in via preliminare la norma relativa alle disposizioni transitorie e finali, riguardante la procedura che deve essere attivata al ricorrere di determinati trattamenti fondati sul legittimo interesse ai sensi dell’art. 1, commi 1022 e 1023 della L. 205/2017, sostituendo il riferimento dei trattamenti dei dati relativi al minore raccolti on line con quello dei trattamenti dei dati personali funzionali all’autorizzazione del cambiamento del nome o del cognome dei minorenni. Infine è disposto che, per i primi otto mesi dalla data di entrata in vigore del decreto in commento, il Garante Privacy tenga conto, per l’applicazione delle sanzioni amministrative e nei limiti in cui risulti compatibile con le disposizioni del Regolamento Ue 2016/679, della fase di prima applicazione delle disposizioni sanzionatorie.