giovedì 18 febbraio 2016

I tre criteri per il reverse charge in edilizia non risolvono le criticità

Restano dubbi applicativi dopo la circolare n. 37/2015 dell’Agenzia, che ha aggiunto il nesso «funzionale» a connessione «fisica» e requisito oggettivo

La disciplina del reverse charge per le “prestazioni di servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relative ad edifici” (art. 17 comma 6 lett. a-ter del DPR 633/72), già caratterizzata da svariati dubbi di tipo applicativo, deve fare i conti con la seconda tranche di chiarimenti in materia, forniti con la circolare n. 37/2015.
Coniugando le prime indicazioni (circolare n. 14/2015) con il più recente intervento di prassi, il reverse charge nel settore edile (lett. a-ter) viene a caratterizzarsi per un triplo ordine di condizioni applicative.

Fermi i criteri di carattere “generale” che definiscono il meccanismo dell’inversione contabile (committente soggetto passivo d’imposta; imponibilità dell’operazione) e la qualificazione dell’operazione come “prestazione di servizi”, rientrano nell’ambito di applicazione del reverse charge in esame le operazioni che soddisfano i seguenti requisiti:
- dapprima, il requisito oggettivo, intendendo le prestazioni annoverate nei codici ATECO indicati nella circolare n. 14/2015 dell’Agenzia delle Entrate;
- quindi, la connessione “fisica” con l’edificio (il bene oggetto dell’intervento deve costituire “parte integrante” dell’edificio);
- infine, il nesso “funzionale” con l’edificio (per le prestazioni relative ad impianti, rileva la funzionalità dell’impianto rispetto all’edificio).

Mentre i primi due criteri erano già presenti nei chiarimenti di cui alla circolare n. 14/2015, il criterio dell’asservimento “funzionale” dell’impianto nei confronti all’edificio emerge dalla lettura di alcuni punti della circolare n. 37/2015 dell’Agenzia delle Entrate.
I criteri così enucleati, che potrebbero costituire un utile strumento per l’applicazione del reverse charge in argomento, non sono alieni da eccezioni e contraddizioni.

In primis, bisognerebbe comprendere se i suddetti requisiti debbano sussistere congiuntamente o se vi sia una sorta di prevalenza gerarchica di uno sugli altri.
Certamente il requisito oggettivo, vale a dire il rispetto dei codici ATECO nei termini di cui alla circolare n. 14/2015, costituisce condizione necessaria per l’applicazione del reverse charge nel settore edile. Quel che lascia perplessi è che il criterio dei codici ATECO (già di per sé discutibile in quanto Tabella “soggettiva” prestata a una lettura “oggettiva”) non opera in chiave letterale ma risente di ulteriori indicazioni dell’Agenzia delle Entrate che, interrogato l’ISTAT, ha ricompreso tutte le manutenzioni e riparazioni, anche qualora non espressamente menzionate.
Verrebbe da chiedersi, allora, se, in un’ottica sistematica, debbano essere incluse nell’ambito del reverse charge anche le prestazioni (e relative manutenzioni/riparazioni) di cui al codice ATECO 43.91.00 (“realizzazione di coperture” di edifici), laddove la stessa Agenzia ha definito come edificio “qualsiasi costruzione isolata da vie o da spazi vuoti, (...) dalle fondamenta al tetto”.

Ulteriori criticità riguardano la possibilità di utilizzare gli altri due requisiti emersi dalle indicazioni dell’Agenzia (connessione “fisica” e nesso “funzionale” del bene oggetto dell’intervento rispetto all’edificio). L’interpretazione resa nelle circolari nn. 14/2015 e 37/2015 sembra difettare di coerenza.
Da un lato, la connessione “fisica” del bene oggetto dell’intervento rispetto all’edificio dovrebbe rappresentare un requisito irrinunciabile. Tanto si evince dalla circolare n. 14/2015 nella misura in cui, al § 1.2, sono ricompresi nel reverse charge tutti gli elementi estranei all’edificio laddove “costituiscano un elemento integrante dell’edificio stesso”, con l’inevitabile corollario che il meccanismo del reverse charge non si applica alle prestazioni “relative a beni mobili di ogni tipo”.

Dall’altro, nella circolare n. 37/2015 vengono attratte all’edificio (e, quindi, nell’ambito di applicazione del reverse charge) anche le prestazioni su beni che non fanno parte dell’edificio medesimo. È il caso dell’impianto fotovoltaico ubicato “a terra”, al di fuori del fabbricato, che, seguendo i criteri dell’art. 13-ter del Regolamento Ue 282/2011, dovrebbe altresì assumere natura di “bene mobile”.
L’esclusione da reverse charge per gli impianti fotovoltaici oggetto di classificazione catastale, inoltre, non sembra seguire né il criterio del nesso “fisico” con l’edificio né quello del nesso “funzionale” (entrambe le connessioni potrebbero ben sussistere anche in presenza di accatastamento dell’impianto).

Del tutto coerenti con la disciplina sono, invece, gli altri chiarimenti della circolare n. 37/2015 in merito alla “funzionalità” dell’impianto rispetto all’edificio:
- se l’intervento su un impianto è funzionale all’edificio, si applica il reverse charge non rilevando il fatto che l’impianto sia ubicato all’esterno dell’edificio stesso;
- se l’intervento su un impianto (integrato “fisicamente” con l’edificio) non ha come finalità il funzionamento dell’edificio, bensì di un’attività industriale, non si applica il meccanismo del reverse charge.