domenica 31 gennaio 2016

Il ristorante «mascherato» da ente non commerciale soccombe in giudizio

La Provinciale di Firenze legittima il controllo globale sull’attività effettivamente esercitata dal contribuente

Con la sentenza n. 32/3/16 del 13 gennaio 2016, la C.T. Prov. di Firenze ha evidenziato interessanti considerazioni in tema di abuso del diritto applicato a un ente non commerciale che si occupava in realtà di attività di ristorazione.

Nel caso di specie l’Agenzia delle Entrate aveva disconosciuto la qualifica di ente non commerciale, con la conseguente determinazione di imposte evase e l’applicazione di sanzioni e interessi.
L’Ufficio riteneva infatti di disapplicare le agevolazioni fiscali ex L. 398/91 per i seguenti motivi: i proventi derivanti dalla somministrazione senza svolgimento di spettacolo (l’associazione si occupava di eventi teatrali) erano preponderanti, essendo quindi evidente che la vera attività svolta era appunto quella di somministrazione; numerose fatture di somministrazione erano state inoltre emesse, in base a un contratto di prestazione di servizi tra lo stesso ente non commerciale e un noto ristorante, nei confronti di soggetti non soci; la partecipazione dei soci alla vita sociale era inesistente e alle assemblee risultavano presenti solo i cinque soci fondatori, su oltre 800 soci.

L’attività di somministrazione risultava del resto solo formalmente affidata al citato ristorante, ma in realtà era diretta e gestita dall’associazione, che ne era la effettiva titolare, anche considerato che esisteva un’evidente commistione tra i due soggetti giuridici (associazione e ristorante), essendo i rispettivi rappresentanti legali tra loro coniugati. L’associazione aveva infine un numero di dipendenti elevato, che rendeva inverosimile il loro impiego esclusivamente per le attività istituzionali/amministrative.

L’Amministrazione finanziaria concludeva pertanto che l’associazione era stata costituita in abuso del diritto e solo per fini di risparmio fiscale, tra cui, in particolare, la mancata imposizione di quanto versato a titolo di quote sociali e la tassazione agevolata della quota percentuale di proventi imputata all’associazione anziché al ristorante.
Secondo l’Ufficio accertatore, inoltre, il pagamento della tessera d’iscrizione non era un’adesione all’associazione, ma solo un sovrapprezzo per poter usufruire della cena comprensiva dello spettacolo, come anche dimostrato dall’inserimento della stessa associazione nella categoria ristoranti, non solo su vari siti internet ma anche sul sito delle Pagine Gialle.

La Commissione tributaria, esaminata la documentazione, riteneva dunque che la qualificazione di ente non commerciale dell’associazione non era confermata dall’effettivo funzionamento organizzativo e dall’attività svolta e che dai verbali delle assemblee dei soci risultava che avevano partecipato, anche per l’approvazione dei bilanci di previsione e consuntivo, solo i 5 soci fondatori, ma agli atti risultava solo il bilancio di verifica consuntivo e non la relazione sul rendiconto, né il bilancio di previsione.

Oltre a ciò, dai verbali delle assemblee dei soci e del comitato di gestione non risultava alcun accenno a iniziative tese al perseguimento dei fini istituzionali, mentre risultava specificatamente regolamentata l’attività di somministrazione di cibi e bevande, con l’indicazione dei prezzi da praticare al pubblico, da parte del ristorante affidatario della gestione di tale servizio.
Per di più, la società (srl) che svolgeva attività di ristorante era controllata al 66% dal coniuge del Presidente dell’associazione, nonché socio fondatore e componente del Comitato di gestione della medesima associazione.

Palese commistione tra i due soggetti giuridici

Sulla base di tutte le suddette considerazioni, la C.T. Prov. concludeva pertanto che l’associazione non presentava la connotazione richiesta per avere la qualifica di ente non commerciale con diritto alle conseguenti agevolazioni fiscali.
La srl e l’associazione erano dunque di fatto riconducibili al rappresentante legale del ristorante, con una chiara commistione tra i due soggetti giuridici, solo formalmente distinti.

Era pertanto fondata l’affermazione dell’Ufficio circa l’esistenza di una situazione di abuso del diritto, finalizzato a eludere, attraverso l’utilizzo dell’associazione culturale per lo svolgimento di un’attività commerciale, il pagamento delle imposte relative alle quote sociali, che invece erano attratte nell’attività commerciale e si configuravano come corrispettivo per l’attività principale di somministrazione, al cui incremento l’attività culturale era solo funzionale.

L’attenzione dei controlli si deve concentrare quindi sull’attività complessivamente svolta dall’ente, valutando se le “altre attività” non istituzionali siano tali – per la loro natura e per le modalità di esercizio – da distorcere le finalità istituzionali per le quali l’ente stesso si è, almeno da un punto di vista formale, costituito, così da rendere l’espressione ente non commerciale un mero schermo all’esercizio di un’autentica attività commerciale.

 

Rapporto cliente-commercialista centrale nel nuovo Codice deontologico

Si può limitare l’esercizio del diritto di recesso da parte del cliente o imporre a quest’ultimo l’obbligo di indennizzare il professionista

Le nuove regole contenute nel codice deontologico dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, operative a partire dal prossimo 1° marzo, recepiscono le istanze di una professione in costante evoluzione e investono numerosi aspetti della stessa. Rispetto alla versione ancora vigente, i principi etici che regolano la nascita, lo svolgimento e la cessazione del rapporto tra professionistacliente (Capo 2, artt. 20-25) sono declinati con maggiore analiticità e avendo riguardo ad alcune casistiche frequenti nella prassi degli studi professionali.

Preliminarmente è posta l’enfasi sul principio dell’intuitu personae, in precedenza desumibile dalla previsione del diritto del cliente di scegliere il proprio professionista e di sostituirlo in ogni momento: si stabilisce, infatti, che “il rapporto con il cliente è fondato sulla fiducia”. Del tutto nuova è la possibilità di limitare l’esercizio del diritto di recesso da parte del cliente, ovvero di imporre a quest’ultimo l’obbligo di indennizzare il professionista, parametrando il relativo ammontare all’importanza dell’incarico e/o al compenso previsto per il completamento del medesimo. La natura fiduciaria del rapporto giustifica altresì il nuovo divieto, posto in capo al professionista, di acquisire clienti o incarichi con modalità indirette (agenzie o procacciatori) o, peggio ancora, elargendo omaggi o compensi.

Al momento dell’accettazione dell’incarico il professionista dovrà rendere edotto il cliente in merito ai rispettivi diritti e doveri, nonché all’esistenza del codice deontologico; la prestazione dovrà essere connotata dai requisiti della libertà, dell’autonomia e dell’indipendenza. È evidente che detti requisiti si intendono compromessi laddove, all’atto del conferimento, sussistano situazioni tali da limitare – o comunque condizionare – la libertà di giudizio e quindi la condotta del professionista, come nel caso di un conflitto di interessi che ne leda l’obiettività (si pensi al professionista che abbia un interesse di natura economica negli affari del cliente).

Al netto di tale opportuna precisazione, i principi etici che regolano lo svolgimento del rapporto professionale sono pressoché invariati: la prestazione deve essere improntata alla diligenza e perizia richieste dalle norme che regolano il rapporto professionale nel luogo e nel tempo in cui è svolto. In tale ottica il professionista è tenuto a fornire spiegazioni al cliente in merito all’incarico e agli eventuali profili di rischio connessi, aggiornandolo tempestivamente nel caso in cui intervengano novità importanti nel corso del mandato. Salvo ipotesi particolari che lo rendano necessario, il professionista non deve eccedere i limiti del mandato ricevuto, pur potendo svolgere tutte le attività opportune per il perseguimento degli scopi concordati.

Le cause di cessazione dell’incarico restano di fatto immutate, dovendo il rapporto professionale interrompersi nel caso in cui sopravvengano cause che pregiudichino la libertà di giudizio del professionista, compromettendone l’indipendenza, ovvero ne condizionino l’operato, come nel caso di mancato pagamento degli onorari o di rimborso delle spese sostenute. Sotto il profilo deontologico, costituiscono variabili critiche ai fini del proseguimento del rapporto professionale sia il comportamento del cliente e le sue richieste, sia le eventuali difficoltà del professionista nello svolgimento della prestazione laddove, per effetto di modifiche all’incarico o per la particolare difficoltà dello stesso, la prestazione non possa essere assolta. In tal caso il professionista deve informare tempestivamente il cliente, chiedendo di essere sostituito o affiancato da un altro professionista.

Particolare rilievo a comunicazione della rinuncia all’incarico e cessazione

E, al riguardo, del tutto nuove sono le previsioni relative alla comunicazione della rinuncia all’incarico: nell’ipotesi di irreperibilità del cliente, il professionista dovrà comunicare la rinuncia al mandato a mezzo lettera raccomandata A/R ovvero mediante posta elettronica certificata, soprattutto se l’incarico deve essere proseguito da altro professionista. Le nuove norme deontologiche quantificano in 60 giorni dall’avvenuta notifica tramite raccomandata o PEC l’intervallo di tempo “ragionevole” affinché il cliente provveda a conferire ad altri l’incarico; decorso tale periodo, il professionista non sarà responsabile per la mancata successiva assistenza, fermo restando l’obbligo di informare il cliente delle comunicazioni che dovessero pervenirgli.

Infine, altra previsione di fondamentale importanza in materia di cessazione del rapporto, attesa la mole di contenzioso disciplinare, è quella relativa all’obbligo del professionista di restituire senza ritardo al cliente che ne faccia richiesta (previo rilascio di ricevuta) la documentazione acquisita per l’espletamento del mandato. Il professionista potrà conservare una copia della documentazione solo con il consenso del cliente, a meno che ciò non si renda necessario allo scopo di comprovare i propri  adempimenti e solo fino al pagamento integrale del proprio compenso.

 

sabato 30 gennaio 2016

Fisioterapisti salvi dall'invio al Sistema TS

Così come logopedisti e assimilati non sono tenuti all’adempimento se non risultano accreditati per l’erogazione dei servizi sanitari

Entro il prossimo 9 febbraio 2016 (la proroga rispetto al 31 gennaio 2016 è stata anticipata dal comunicato stampa dell’Agenzia delle Entrate del 21 gennaio 2016), occorre trasmettere al Sistema tessera sanitaria le prestazioni sanitarie definite dal DM 31 luglio 2015, ai fini della predisposizione del modello 730/2016 precompilato.

Ai sensi dell’art. 3 comma 3 del DLgs. 21 novembre 2014 n. 175, sono tenuti alla trasmissione in argomento:
- le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, i policlinici universitari;
- le farmacie, pubbliche e private;
- i presidi di specialistica ambulatoriale;
- le strutture per l’erogazione delle prestazioni di assistenza protesica e di assistenza integrativa;
- gli altri presidi e strutture accreditati per l’erogazione dei servizi sanitari;
- gli iscritti all’Albo dei medici chirurghi e degli odontoiatri.

L’ambito soggettivo della norma pare tassativo. Pertanto, per i soggetti che non rientrano tra quelli sopracitati che erogano prestazioni sanitarie fuori dal perimetro dell’accreditamento, non dovrebbe sussistere, per le prestazioni 2015, l’obbligo di comunicazione.

In questo senso, si è espresso anche il Ministero dell’Economia e delle finanze durante il question time che ha avuto luogo ieri alla Commissione Finanze della Camera.
Sul tema, è intervenuto il sottosegretario Enrico Zanetti – che ieri il CdM ha nominato Viceministro del MEF –, il quale, sentiti gli uffici dell’amministrazione finanziaria ha riportato quanto segue “si rappresenta che rientrano tra i soggetti tenuti all’invio dei dati relativi alle prestazioni erogate a decorrere dall’anno 2015 sia le strutture e i soggetti che erogano prestazioni di assistenza specifica, sia le strutture e i soggetti che erogano prestazioni ausiliarie della professione sanitaria, qualora siano accreditati per l’erogazione dei servizi sanitari”.

Alla luce di quanto affermato, quindi, le snc, le sas e le srl che svolgono l’attività di poliambulatori sono tenute alla comunicazione delle spese sanitarie al sistema TS per il 2015 soltanto se possiedono l’accreditamento per l’erogazione dei servizi sanitari. Lo stesso principio vale anche per fisioterapisti, logopedisti e assimilati che non sono tenuti all’adempimento se non risultano accreditati.

Resta ferma la sanzione in caso di omessa trasmissione di dati

Dalle risposte date ieri nel corso di Telefisco 2016, invece, non si riscontrano chiarimenti particolari in merito all’applicazione del regime sanzionatorio. Viene confermato che per la trasmissione al Sistema tessera sanitaria nel 2016, in relazione ai dati 2015 utili per la predisposizione della dichiarazione precompilata, non si fa luogo all’applicazione delle sanzioni in caso:
- di “lieve tardività” nella trasmissione dei dati;
- oppure di errata trasmissione degli stessi, “se l’errore non determina un’indebita fruizione di detrazioni o deduzioni nella dichiarazione precompilata”.

Resta ferma, comunque, l’applicazione della sanzione in caso di omessa trasmissione dei dati (pari a 100 euro per ogni comunicazione e senza la possibilità di applicare il cumulo giuridico).
Ad ogni modo, anche nel corso della videoconferenza di ieri, non è stata chiarita dall’Agenzia delle Entrate l’entità del c.d. “ritardo tollerabile”.

 

Accesso al regime forfetario anche per chi ha optato per l'ordinario nel 2015

Chiarite le possibilità di utilizzo, dal 2016, dei regimi agevolati di vantaggio e forfetario

Libero accesso al regime forfetario dal 2016 con ampia possibilità di revoca delle opzioni eventualmente esercitate l’anno precedente. È questo uno dei più interessanti chiarimenti sul regime che l’Agenzia delle Entrate ha fornito ieri nel corso di Telefisco
Con l’occasione si ricorda che, in considerazione del grande interesse che stiamo riscontrando per questo regime, un organico riepilogo della relativa disciplina, che prende in considerazione oltre alle condizioni e alle modalità per l’accesso, anche le altre caratteristiche del regime forfetario, è disponibile nello Speciale di Eutekne.info “Il nuovo «forfetario» per gli Autonomi”. 

Venendo ai chiarimenti di Telefisco, è ufficializzata la possibilità per i soggetti che hanno applicato il regime di vantaggio per la nuova attività avviata nel 2015, beneficiando della proroga disposta dall’art. 10 comma 12-undecies del DL 192/2014, conv. L. 11/2015, di continuare ad applicare tale regime fino a scadenza naturale, ossia per un quinquennio o fino al trentacinquesimo anno di età del contribuente (in tal senso si veda “Dubbi sull’utilizzabilità del regime di vantaggio anche nel 2016” del 26 ottobre 2015).

Con specifico riferimento al regime forfetario, viene chiarito che i soggetti che, nel 2015, avevano optato per il regime ordinario possono, dal 1° gennaio 2016, revocare detta opzione e accedere al regime forfetario.
L’indicazione risulta particolarmente utile poiché si trattava di coordinare:
- il comma 70 dell’art. 1 della L. 190/2014, secondo cui l’opzione per il regime ordinario rimane valida per almeno un triennio e, decorso il periodo minimo, per ciascun anno successivo fino alla revoca;
- con l’art. 1 comma 1 ultimo periodo del DPR 10 novembre 1997 n. 442, il quale, nel dettare la disciplina generale delle opzioni in materia di imposta sul valore aggiunto e di imposte dirette, riconosce la possibilità di “variazione dell’opzione e della revoca nel caso di modifica del relativo sistema in conseguenza di nuove disposizioni normative”.

Rispetto a quest’ultima disposizione la C.M. n. 209/98 aveva precisato che “La norma appare finalizzata all’intento di agevolare il contribuente consentendogli la possibilità di variare la scelta operata in base ad elementi di giudizio che potrebbero mutare alla luce di modifiche normative intervenute durante l’arco temporale in cui è obbligatoria la permanenza nel regime prescelto”.

L’Agenzia, quindi, ha ritenuto che, sebbene, in via generale, l’opzione per un regime di determinazione dell’imposta vincoli il contribuente alla sua concreta applicazione almeno per un triennio, nel caso di specie – stante le significative modifiche introdotte dalla L. 208/2015 al regime forfetario – sia applicabile la deroga contenuta nell’art. 1 del DPR 442. Analoga possibilità di revoca sussiste nel caso in cui, nel 2015, sia stato applicato il regime di vantaggio di cui al DL 98/2011. 

Pertanto, se nel 2015 è stato applicato il regime ordinario o il regime di vantaggio, è possibile applicare, dal 2016, il regime forfetario. Inoltre, nel caso in cui ne sussistano i presupposti, i medesimi soggetti possono scegliere di applicare le disposizioni di cui all’art. 1 comma 65 della L. 190/2014 previste limitatamente alle nuove attività economiche (ossia la tassazione con imposta sostitutiva al 5%, anziché al 15%), per il periodo che residua al compimento del quinquennio dall’inizio dell’attività.

Super-ammortamenti operativi per i “minimi”, non per i “forfetari”

Sotto un diverso profilo, è stata poi definita l’applicabilità nell’ambito dei regimi agevolati (forfetario e di vantaggio) della disposizione sui “super-ammortamenti”.
Nel dettaglio, la misura:
- è stata esclusa per i contribuenti forfetari; per tali soggetti, infatti, la determinazione del reddito avviene tramite l’applicazione di un coefficiente di redditività al volume dei ricavi o compensi, il che rende irrilevanti i costi sostenuti (inclusi quelli relativi all’acquisto di beni strumentali nuovi);
- è stata ritenuta applicabile rispetto ai contribuenti “minimi” che applicano il regime di vantaggio; non crea, infatti, ostacolo alla fruizione del beneficio in esame la determinazione analitica del reddito secondo il principio di cassa che rappresenta, rispetto alla procedura di ammortamento, “una diversa modalità temporale di deduzione del medesimo costo”.

 

Super-ammortamenti anche per le auto a «km zero»

Assilea, con la circolare n. 2/2016, fornisce ulteriori indicazioni sull’agevolazione

Assilea, dopo le prime indicazioni fornite con la circ. n. 25/2015, nell’ambito della circ. n. 2/2016 (riepilogativa delle novità introdotte dalla legge di stabilità 2016 in materia di leasing) torna ad occuparsi dei “super-ammortamenti”, disciplinati dall’art. 1 commi 91 ss. della L. 208/2015.

Con riferimento all’ambito soggettivo, ricordando che possono fruire dell’agevolazione sia i soggetti titolari di reddito d’impresa sia gli esercenti arti e professioni, secondo Assilea è tuttavia ragionevole escludere i contribuenti forfetari, tenuto conto che determinano il reddito attraverso l’applicazione di un coefficiente di redditività al volume dei ricavi o compensi; in tale ipotesi, infatti, l’ammontare dei costi sostenuti dal contribuente (inclusi quelli relativi all’acquisto di beni strumentali nuovi) non rileva ai fini del calcolo del reddito imponibile. Diversamente, dovrebbe essere possibile includere tra i soggetti per i quali è ammessa la maggiorazione degli ammortamenti deducibili i contribuenti “minimi”, poiché il procedimento di determinazione del reddito prevede che il costo di acquisto dei beni strumentali sia deducibile dal reddito dell’esercizio in cui è avvenuto il pagamento (principio di cassa).

Quanto all’ambito oggettivo, Assilea ricorda che la misura agevolativa interessa i beni materiali strumentali (incluso il targato) nuovi acquisiti, anche in locazione finanziaria, dal 15 ottobre 2015 al 31 dicembre 2016. Pertanto, i beni agevolabili devono possedere le caratteristiche della materialità, strumentalità e novità, fermo restando le esclusioni espressamente previste (es. fabbricati e costruzioni, beni materiali con coefficiente di ammortamento inferiore al 6,5%).

Con particolare riferimento al requisito della novità, Assilea ritiene valide le indicazioni fornite in passato dall’Agenzia delle Entrate nell’ambito delle agevolazioni “Tremonti” (cfr. circ. Agenzia delle Entrate nn. 90/2001, 4/2002, 44/2009, 5/2015).

Secondo i citati chiarimenti, il requisito della novità sussiste anche nel caso in cui l’acquisto del bene avvenga presso un soggetto che non sia né il produttore né il rivenditore, a condizione che il bene stesso non sia mai stato utilizzato (o dato ad altri in uso) né da parte del cedente, né da alcun altro soggetto. È necessario precisare che deve comunque trattarsi di beni per i quali il venditore non abbia fruito di agevolazioni.

Indicazione in fattura del non utilizzo

Sulla base di tali indicazioni, gli autoveicoli immatricolati dai rivenditori e rivendibili a “km 0” potevano quindi beneficiare della c.d. Tremonti-bis. In tal caso, nella fattura d’acquisto il concessionario doveva inserire una dicitura che richiamasse da un lato che si trattasse di auto nuova (non aver percorso km neppure a fini dimostrativi) e che, dall’altro, sulla stessa non si fosse mai beneficiato di agevolazioni fiscali.

Alla luce di tale precedente interpretativo, secondo Assilea è ragionevole ritenere applicabile il super-ammortamento alle predette condizioni anche agli autoveicoli immatricolati dai rivenditori e rivendibili a “km 0”.
Assilea ricorda, inoltre, che solo per le acquisizioni – anche in locazione finanziaria – effettuate dal 15 ottobre 2015 al 31 dicembre 2016 il legislatore nell’ambito della disciplina del c.d. “super-ammortamento” ha anche aumentato le soglie massime di deducibilità per i veicoli disciplinati dall’art. 164 comma 1 lettera b) del TUIR. In particolare:
- per le auto non assegnate utilizzate da imprese e lavoratori autonomi, da 18.076 a 25.306 euro;
- per agenti e rappresentanti, da 25.823 a 36.152 euro.

Viene altresì precisato che rimangono invece immutate le percentuali di deducibilità del 20%, 70% (auto in uso promiscuo ai dipendenti) e dell’80% (agenti e rappresentanti).

 

venerdì 29 gennaio 2016

mancato invio della comunicazione all' ENEA

Detrazione del 55%: mancato invio della comunicazione all’ ENEA.

La detrazione per il risparmio energetico, introdotta nel lontano 2007 dall’articolo 1, commi da 344 a 347, della Legge 27/12/2006, n. 296, che salvo proroghe dell’ultima ora è prossima alla scadenza, spetta se il contribuente ha ottemperato agli adempimenti previsti dalla norma. Per fruire della detrazione del 55% sono necessari i seguenti adempimenti: - acquisire, ove richiesto, l’asseverazione di un tecnico abilitato che attesti la corrispondenza degli interventi effettuati ai requisiti tecnici richiesti dal decreto 19/02/2007 e successivi; - effettuare il pagamento tramite bonifico bancario o postale; - trasmettere telematicamente all’ENEA copia dell’attestato di “certificazione energetica” ovvero dell’attestato di “qualificazione energetica” dell’edificio, nonché la scheda informativa relativa agli interventi realizzati (Allegato E o Allegato F); in alcuni casi è prevista la trasmissione telematica della sola scheda informativa. Il contribuente in possesso di tutta la documentazione tecnica e amministrativa necessaria, che ha dimenticato di inviare all’Enea i documenti previsti entro la scadenza dei 90 giorni dal termine dei lavori, non perde, però, il diritto a fruire delle detrazioni fiscali del 55 per cento e può regolarizzare il mancato adempimento. L’articolo 2, comma 1, del decreto legge 2 marzo 2012 n. 16, ha, infatti, introdotto una particolare forma di ravvedimento operoso (c.d. remissione in bonis) volto ad evitare che semplici dimenticanze relative a comunicazioni ovvero, in generale, ad adempimenti formali non eseguiti tempestivamente precludano al contribuente, in possesso dei requisiti sostanziali richiesti dalla norma, la possibilità di fruire di benefici fiscali o di regimi opzionali. La violazione non deve essere stata però constatata o non devono essere iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore dell’inadempimento abbia avuto formale conoscenza. Inoltre, il tardivo assolvimento dell’obbligo di comunicazione non deve rappresentare un mero ripensamento, ovvero una scelta successiva basata su ragioni di opportunità. Il contribuente, per usufruire di questo particolare ravvedimento deve aver tenuto un comportamento coerente con il beneficio fiscale di cui intende usufruire (c.d. comportamento concludente), ed abbia soltanto omesso l’adempimento formale normativamente richiesto, che viene posto in essere in un secondo tempo. Per sanare il mancato adempimento, oltre al possesso dei requisiti sostanziali richiesti dalle norme, è necessario effettuare la comunicazione entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile, versando contestualmente l’importo pari alla misura minima della sanzione stabilita dall’articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (euro 258), tramite il modello F24, senza possibilità di effettuare la compensazione con crediti eventualmente disponibili. Per prima dichiarazione dei redditi si deve intendere quella il cui termine di presentazione scade successivamente al termine previsto per effettuare la comunicazione cioè successivamente ai 90 giorni previsti. Inoltre, per “termine di presentazione” si intende quello ordinario di presentazione del Modello UNICO, cioè il 30 settembre. Per gli interventi di risparmio energetico ultimati nel 2012, per i quali la scadenza dei 90 giorni è avvenuta in data antecedente al 30 settembre 2012 la comunicazione tardiva doveva essere trasmessa ad ENEA entro il 31 dicembre 2012 (la proroga del termine dal 30 settembre 2012, data di presentazione della prima dichiarazione utile, al 31 dicembre 2012 è stata prevista dalla circolare 38/E del 28 settembre 2012), mentre è possibile sanare entro il 30 settembre 2013 la mancata comunicazione di quegli interventi per i quali la scadenza dei 90 giorni è successiva al 30 settembre 2012. Per coloro che non possono accedere alla sanatoria, perché sono trascorsi inutilmente i termini previsti, sarà comunque possibile usufruire della detrazione del 36% - 50% di cui all’art. 16-bis del TUIR per quegli interventi che possono usufruire anche di tale agevolazione.

domenica 24 gennaio 2016

Forfetario incerto con redditi di lavoro dipendente e assimilati

Andrebbero chiarite le fattispecie rientranti nella «cessazione del rapporto di lavoro»

Uno dei nuovi requisiti per accedere al regime forfetario riguarda il possesso di redditi di lavoro dipendente o assimilati.
In particolare, recita il nuovo art. 1 comma 57 lett. d-bis) della L. 190/2014, non possono avvalersi del regime “i soggetti che nell’anno precedente hanno percepito redditi di lavoro dipendente e redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, di cui rispettivamente agli articoli 49 e 50 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, eccedenti l’importo di 30.000 euro; la verifica di tale soglia è irrilevante se il rapporto di lavoro è cessato”.
La finalità della norma è quella di evitare che soggetti esercenti attività di lavoro dipendente o assimilate nell’anno precedente a quello di applicazione del regime forfetario, da cui abbiano ritratto livelli reddituali piuttosto elevati, possano comunque beneficiare del regime in questione per le attività d’impresa, arti o professioni esercitate (Relazione illustrativa al Ddl. di stabilità 2016).

Della disposizione sopra riportata l’inciso che fa sorgere i maggiori dubbi è quello finale in cui si afferma che la verifica di tale soglia è irrilevante se il rapporto di lavoro è cessato. Al fine di applicare correttamente la disposizione sarebbe interessante se venissero indicate le fattispecie riconducibili alla “cessazione del rapporto di lavoro”.
Come sostenuto in dottrina, dovrebbero potervi rientrare tutti quei casi in cui il rapporto viene a cessare per cause indipendenti dalla volontà del lavoratore (tipicamente, il licenziamento), nonché in caso di dimissioni (ad esempio, per giusta causa). A tali eventi consegue l’estinzione della fonte reddituale rilevante ai fini del requisito in esame.

Meno certo – a nostro giudizio – è l’accesso al regime nell’ipotesi di pensionamento. Si ipotizzi il caso di un soggetto che abbia percepito redditi di lavoro dipendente pari a 50.000 euro nel 2015 e che, dal 2016, vada in pensione avviando una modesta attività professionale per cui intenderebbe fruire del regime agevolato.
Ad una prima lettura potrebbe sostenersi che il rapporto di lavoro è cessato e che il soggetto possa applicare il regime forfetario. D’altra parte, potrebbe obiettarsi che il pensionamento determina una cessazione “particolare” del rapporto (non equiparabile alle casistiche sopra riportate), a seguito della quale il soggetto continua a percepire un reddito equiparabile fiscalmente a quello nascente dal rapporto esaurito.

Opportuno che la questione venga affrontata in un intervento ufficiale

Inoltre, ulteriori perplessità sull’applicazione del regime sorgerebbero se, considerando il caso esemplificato, il reddito da pensione per il 2016 risultasse superiore al limite dei 30.000 euro. A nostro giudizio, in tale ipotesi, l’accesso al regime dal 2016 non sarebbe conforme alla ratio del requisito, che è quella di escludere dal regime soggetti che abbiano percepito redditi di lavoro dipendente e assimilati elevati; inoltre, il ricorso alla circostanza relativa alla “cessazione del rapporto” avvenuta nel 2015 costituirebbe un mero strumento per fruire della tassazione sostitutiva per il primo anno di attività autonoma (posto che per l’anno successivo, il 2017, il soggetto fuoriuscirebbe dal regime per superamento del limite in esame).
Alla luce di tali osservazioni, sarebbe opportuno che la questione venisse affrontata (e chiarita) in un prossimo intervento ufficiale.

Sotto un diverso profilo, si rileva che la circostanza di aver cessato un rapporto di lavoro prima dell’inizio dell’attività per cui si intende applicare il regime forfetario, sebbene consenta di non verificare il rispetto della causa ostativa in esame, potrebbe assumere rilevanza ai fini della fruibilità della riduzione dell’aliquota d’imposta al 5% per i primi cinque anni di attività, la quale è riconosciuta, tra l’altro, a condizione che l’attività non costituisca mera prosecuzione di altra precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo.

 

sabato 23 gennaio 2016

ENASARCO

A partire dalle competenze maturate dal 1°gennaio 2016 - sono variate le percentuali contributive e i massimali dovuti all’Enasarco dagli Agenti di commercio e dalle loro Mandanti.

La nuova percentuale contributiva è fissata nella misura complessiva del 15,10%; pertanto la ritenuta da applicare in fattura alle provvigioni – per la parte a carico dell’agente – è ora pari al 7,55%.  

Questi invece i Massimali:

 

  • AGENTE PLURIMANDATARIO:

massimale provvigionale annuo per ciascun preponente Euro 25.000,00;

 

  • AGENTE MONOMANDATARIO:

massimale provvigionale annuo per ciascun preponente Euro 37.500,00;

 

ed i Minimali:

  • AGENTE PLURIMANDATARIO:

minimale provvigionale annuo per ciascun preponente Euro 418,00;

 

  • AGENTE MONOMANDATARIO:

minimale provvigionale annuo per ciascun preponente Euro 836,00;

 

Sempre dal 01/01/2016 è variata come di seguito indicato l’aliquota contributiva assistenziale per gli Agenti operanti in forma di società di capitali:

 

Importi  provvigionali annui

Aliquota contributiva valida dal 1/1/2016

Fino a euro 13.000.000 (tredici milioni)

4% (a carico mandante 3 + 1% a carico società agente)

Da euro 13.000.000,01 a euro 20.000.000

2% (a carico mandante 1,50% + 0,50% a carico società agente)

Da euro 20.000.000,01 a euro 26.000.000

1% (a carico società agente 0,75 + 0,25% a carico società agente)

Da euro 26.000.000,01 in poi

0,50% (a carico società agente 0,30 + 0,20% a carico società agente)

 

Conto termico, ecco la nuova versione. In arrivo il decreto del Mise che punta a semplificare l'incentivo

 

Il nuovo conto termico" è pronto a partire. Approvato mercoledì scorso in Conferenza unificata, dopo aver accolto in parte le ultime proposte di revisione avanzate dall'Anci e dalle Regioni, il decreto attuativo del Mise attende ora solo d'esser pubblicato in Gazzetta Ufficiale per entrare in vigore. Il provvedimento va ad aggiornare «la disciplina per l'incentivazione di interventi di piccole dimensioni per l'incremento dell'efficienza energetica e per la produzione di energia termica da fonti rinnovabili secondo principi di semplificazione, efficacia, diversificazione e innovazione tecnologica». Risultato raggiunto al termine di una "gestazione" piuttosto lunga, visto che le modifiche al sistema (nato con il Dm 28 dicembre 2012) erano state previste dallo Sblocca Italia (legge 164/14) e avrebbero dovuto - in linea di principio - esser adottate entro il 31 dicembre 2014.

Un incentivo poco utilizzato 
Con questo decreto si cerca dunque di rilanciare un meccanismo incentivante che mette a disposizione 900 milioni di euro annui (700 per i privati e 200 per le pubbliche amministrazioni), ma che allo stato dei fatti si dimostra largamente sottoutilizzato: schiacciato sia dalle complessità procedurali, sia dall'agguerrita concorrenza delle detrazioni fiscali (al 50 e 65%). Basti pensare che l'ultima rilevazione del Gse (Gestore dei servizi energetici, cui è affidato il sistema) evidenzia al 1° gennaio 2016 un totale di incentivi impegnati pari a 56,4 milioni di euro: 45,6 milioni riconducibili ai privati e e 10,8 milioni alla Pa. Insomma, poco più del 5% delle risorse disponibili. 
Da qui la necessità - come riporta il nuovo Dm - di «assicurare coerenza al sistema» e di «rivedere, ampliare e razionalizzare il perimetro degli interventi (...), in modo da creare uno strumento di maggiore efficacia per gli interventi di produzione di energia termica rinnovabile, nonché per gli interventi di efficienza energetica negli edifici della pubblica amministrazione». Per quest'ultima - che non può avvalersi delle detrazioni fiscali - risulta d'altra parte complicato accedere anche al sistema dei certificati bianchi. 

Le attuali regole del conto termico 
Le attuali regole prevedono che i privati (persone fisiche, condomini, titolari di reddito di impresa o agrario) possano accedere agli incentivi del conto termico per sostituire impianti di climatizzazione invernale esistenti con altri dotati di pompe di calore, elettriche o a gas, o di generatori alimentati a biomassa; installare collettori solari termici, anche abbinati a sistemi di solar cooling; sostituire scaldacqua elettrici con quelli a pompa di calore. Mentre le amministrazioni pubbliche godono di un ventaglio di opzioni più esteso, che include anche la sostituzione di finestre e infissi, degli impianti di riscaldamento con caldaie a condensazione, l'isolamento termico ("cappotto"), l'installazione di schermature solari. 
L'incentivo - da richiedere sul sito Gse (Portaltermico) - viene erogato dal Gestore con un contributo su conto corrente in rate uguali per 2 o 5 anni, in base al tipo di intervento (2 anni per le taglie domestiche). E i rimborsi, che dipendono dall'efficienza dell'intervento, sono nell'ordine del 40% dei costi sostenuti; anche se in alcuni casi possono rivelarsi più bassi: come per gli impianti di riscaldamento dove la percentuale dipende dalle spese di installazione e dalla prestazione (taglia, zona climatica). Per la sostituzione degli scaldacqua con quelli a pompa di calore la percentuale di rientro del 40% è fissa (con un tetto massimo di 700 euro); per i collettori solari, è invece calcolata sulla base della superficie captante del pannello stesso, secondo una specifica tabella. 

Le modifiche in arrivo 
Le principali modifiche in arrivo riguardano la Pa, per la quale il "conto termico 2.0" aggiunge tre nuovi interventi: trasformazione in "edifici a energia quasi zero" (Nzeb); sostituzione dei sistemi per l'illuminazione con dispositivi efficienti; installazione di tecnologie di gestione e controllo degli impianti termici ed elettrici degli edifici (building automation), inclusi sistemi di termoregolazione e contabilizzazione del calore. Vengono poi semplificate le modalità di prenotazione dell'incentivo da parte delle amministrazioni, e la platea dei beneficiari allargata a cooperative sociali e società di patrimonio pubblico. Inoltre, il contributo sale al 50% per le opere di isolamento termico nelle zone climatiche E/F e al 55% se accompagnato dall'installazione di nuovi impianti di climatizzazione; arriva invece al 65% per la trasformazione in edifici Nzeb e la sostituzione dei sistemi illuminanti.
Ma ci sono novità che toccano anche i privati. Innanzitutto la possibilità di consultare sul sito del Gse (entro 90 giorni dall'entrata in vigore del Dm) un catalogo di prodotti, ad uso domestico, con requisiti tecnici idonei all'incentivazione: apparecchi con potenza termica fino a 35kW o superficie (collettori solari) fino a 50mq, che sarà possibile selezionare direttamente, senza dover riportare i dati nella scheda-domanda e riducendo i tempi di presentazione e valutazione delle richieste. Per attestare le spese sostenute (finora certificate con fattura e bonifico bancario o postale) saranno ammesse anche modalità di pagamento online e tramite carta di credito; i termini per l'erogazione del contributo, dalla conclusione della procedura, vengono dimezzati e passano da 180 a 90 giorni; mentre viene elevata la soglia affinché l'incentivo possa essere erogato in un'unica annualità (al posto di due): l'ammontare totale non dovrà superare i 5mila euro, contro l'attuale limite di 600 euro. 

Resta il "duello" con le detrazioni 
Dopo l'entrata in vigore del decreto, il Gse dovrà predisporre una modulistica semplificata per la presentazione delle domande. Le "difficili" procedure di accesso hanno infatti contribuito a rallentare la diffusione del conto termico (e il decreto si propone, appunto, di snellire l'iter). Per i privati restano però sul tavolo tutti i nodi del confronto con i bonus fiscali, sopratutto quello per la riqualificazione energetica, che copre le stesse tipologie di intervento. È vero, il conto termico non offre una detrazione dalle imposte, ma un contributo diretto. Non va a pesare la capienza fiscale del contribuente (con il rischio di perdere le somme che eccedono l'imposta), riduce i tempi di rimborso (due anni contro i dieci in cui si spalma la detrazione) e coinvolge una platea più ampia di destinatari, concedendo pratici vantaggi in termini di tempi di ritorno degli investimenti. Ma soffre il maxi-sconto al 65% offerto dal bonus Irpef, che l'ultima legge di Stabilità ha confermato per tutto il 2016.



giovedì 21 gennaio 2016

Dal 2016 regime forfetario possibile sia per chi inizia, sia per chi è già in attività

Determinante è la tenuta di un comportamento concludente in linea con la disciplina del regime

Il regime forfetario è applicato “naturalmente” dai soggetti che possiedono i requisiti richiesti dalla L. 190/2014, tenendo un comportamento concludente in linea con le disposizioni del regime (ad esempio, non addebitando l’IVA sulle fatture emesse e non detraendo quella sugli acquisti).

La circ. Agenzia delle Entrate 19 febbraio 2015 n. 6 (§ 9.1) ha precisato che, ai fini dell’accesso al regime, nessun rilievo assume l’esercizio in anni precedenti di un’attività d’impresa, arte o professione. Così, previa verifica del possesso dei requisiti necessari e dell’assenza di condizioni ostative, l’accesso al regime dal 1° gennaio 2016 risulta possibile:
- sia per i soggetti che iniziano l’attività;
- sia per i soggetti già in attività (che applicavano nel 2015 il regime ordinario, oppure quello di vantaggio per l’imprenditoria giovanile di cui al DL 98/2011).
La circostanza di aver svolto in precedenza qualche attività d’impresa o di lavoro autonomo (così come lo svolgimento di altra attività sotto forma di lavoro dipendente) rileva ai fini impositivi per fruire dell’agevolazione consistente nella riduzione dell’aliquota dell’imposta sostitutiva, dal 15% al 5%, per i primi cinque anni di attività.

Le persone fisiche che intraprendono una nuova attività, presumendo il possesso dei requisiti di legge, comunicano la scelta di avvalersi del regime forfetario nella dichiarazione di inizio attività di cui all’art. 35 del DPR 633/72 (modello AA9/12), da presentare entro 30 giorni dalla data di inizio dell’attività. In particolare, occorre indicare nella sezione relativa ai “Regimi fiscali agevolati” del quadro B il codice 2, per il regime forfetario.

Per coloro che hanno già un’attività in corso, come precisato dalla circ. Agenzia delle Entrate n. 6/2015 (§ 9.2), il passaggio al regime agevolato avviene, a partire dal 1° gennaio 2016, senza effettuare specifici adempimenti, ossia senza doverne dare alcuna comunicazione preventiva (con il mod. AA9/12) o successiva (nella dichiarazione annuale). Determinante è che sia tenuto un comportamento “fiscale” in linea con le prescrizioni del regime.

Più nel dettaglio, in presenza dei requisiti necessari, l’accesso al regime forfetario dal 2016 sarebbe possibile per i soggetti che nel 2015 hanno applicato:
- il regime di vantaggio di cui al DL 98/2011,
- oppure il regime ordinario (fatto salvo che, in quest’ultima ipotesi, l’applicazione del regime ordinario sia conseguenza dell’esercizio dell’opzione di cui all’art. 1 comma 70 della L. 190/2014, nel qual caso tale regime dovrà essere obbligatoriamente utilizzato per un triennio).

Effetti del passaggio al regime forfetario dal 2016

Ancorché non siano necessarie comunicazioni specifiche, il passaggio dal 2016 al regime forfetario determina conseguenze per i soggetti che sono tenuti alla presentazione della dichiarazione IVA 2016: segnatamente si tratta di soggetti che nel 2015 hanno applicato il regime ordinario (nessun obbligo in tal senso si configura per il regime di vantaggio rispetto al quale opera una generica esclusione dall’imposta e dagli obblighi connessi).

Con la finalità di “comunicare che si tratta dell’ultima dichiarazione annuale IVA precedente all’applicazione del regime” forfetario, tali soggetti sono tenuti alla compilazione del rigo VA14 della predetta dichiarazione.
Inoltre, il passaggio dalle regole ordinarie IVA al regime forfetario determina la necessità di operare la rettifica della detrazione di cui all’art. 19-bis2 del DPR 633/72 (art. 1 comma 61 della L. 190/2014). La rettifica va operata nella dichiarazione IVA dell’ultimo anno di applicazione delle regole ordinarie: quindi, ipotizzando l’accesso al regime forfetario dal 2016, il riferimento è alla dichiarazione IVA 2016 relativa al 2015 (rigo VF56).

Un apposito codice è stato poi previsto per indicare l’imposta a credito da chiedere a rimborso. Si ricorda, infatti, che, secondo l’art. 1 comma 63 della L. 190/2014, a seguito dell’accesso al regime forfetario, l’imposta detraibile emergente dalla dichiarazione relativa all’ultimo anno di applicazione del regime ordinario IVA può essere chiesta a rimborso, ovvero utilizzata in compensazione nel modello F24 secondo le consuete modalità (art. 17 del DLgs. 241/97). I soggetti che accedono al regime forfetario dal 2016 indicano l’imposta che intendono chiedere a rimborso risultante dalla dichiarazione IVA 2016 al rigo VX4, casella 3 con codice 11.

 

martedì 19 gennaio 2016

In Gazzetta Ufficiale le regole sull'assegno di disoccupazione

Il decreto 29 ottobre 2015 detta la disciplina dell’ASDI, introdotto nel nostro ordinamento dal DLgs. 22/2015

Sulla Gazzetta Ufficiale n. 13 di ieri, è stato pubblicato il decreto del Ministero del Lavoro 29 ottobre 2015, che detta la disciplina di attuazione dell’ASDI, ovvero l’assegno di disoccupazione introdotto nel nostro ordinamento dal DLgs. 22/2015, avente la funzione di fornire una tutela di sostegno al reddito ai lavoratori beneficiari della NASpI che abbiano fruito di questa per l’intera sua durata e che siano privi di occupazione e si trovino in una condizione economica di bisogno.

Il decreto dispone che l’ASDI sia concesso ai lavoratori che:
- abbiano fruito, entro il 31 dicembre 2015, della NASpI per la sua durata massima, come definita dall’art. 5 del DLgs. 22/2015;
- siano ancora in stato di disoccupazione ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. c) del DLgs. 181/2000, al termine del periodo di fruizione della NASpI;
- siano, al termine del periodo di fruizione della NASpI, componenti di un nucleo familiare in cui sia presente almeno un minorenne o abbiano un’età pari a 55 anni o superiore e non abbiano maturato i requisiti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato;
- siano in possesso di un’attestazione dell’ISEE, in corso di validità, dalla quale risulti un valore dell’indicatore pari o inferiore a 5.000 euro. Per mantenere l’ASDI, la dichiarazione sostitutiva unica a fini ISEE è aggiornata in gennaio, entro il termine del mese. Senza aggiornamento della dichiarazione, il beneficio è sospeso. Se ricorrono le condizioni di cui all’art. 9 del DPCM 159/2013, per richiedere l’ASDI si può utilizzare un’attestazione dell’ISEE corrente;
- non abbiano usufruito dell’ASDI per un periodo pari o superiore a 6 mesi nei 12 mesi precedenti il termine del periodo di fruizione della NASpI e comunque per un periodo pari o superiore a 24 mesi nel quinquennio precedente lo stesso termine;
- abbiano sottoscritto un progetto personalizzato di presa in carico redatto dal servizio per l’impiego competente.

Quest’ultimo, disciplinato dall’art. 5 del decreto e necessario per accedere al beneficio, deve contenere, tra gli altri elementi, l’impegno del richiedente a partecipare a corsi di formazione e orientamento e ad accettare adeguate proposte di lavoro.

Nel dettaglio, per accedere al nuovo sussidio, il richiedente dovrà presentare una domanda di erogazione utilizzando uno specifico form on line pubblicato sul sito dell’INPS e, in seguito, dovrà recarsi nel servizio competente nel cui ambito territoriale è stabilita la propria residenza per la sottoscrizione del progetto personalizzato. 
Le modalità con cui i servizi comunicano le caratteristiche di tale progetto, oltre agli eventuali aggiornamenti, ai fatti suscettibili di dar luogo alle sanzioni (decurtazione, sospensione e decadenza dal beneficio) e agli esiti del progetto, saranno definite con decreto del Ministero del Lavoro, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano e il Garante Privacy. 

Nelle more dell’adozione dell’appena citato decreto, i servizi competenti devono comunicare la sottoscrizione del progetto personalizzato o il suo aggiornamento secondo modalità definite dal Ministero del Lavoro entro 15 giorni dall’entrata in vigore del decreto 29 ottobre 2015, nel rispetto della disciplina in materia di protezione dei dati personali e, in ogni caso, solo per via telematica secondo gli standard tecnici e le modalità di trasmissione stabilite nel DM 30 ottobre 2007. I servizi competenti comunicano con le stesse modalità, in tempo utile, i fatti suscettibili di dar luogo alle sanzioni.
Per ottemperare a tale adempimento, come ha sottolineato la nota ministeriale n. 6704/2015, a partire dall’11 gennaio 2016, sul portale Cliclavoro (www.cliclavoro.gov.it) è disponibile un’apposita sezione che consente di effettuare le predette comunicazioni.

Come chiarito dal Ministero con un’informativa di ieri, la comunicazione relativa al progetto personalizzato non costituisce richiesta del beneficio. A tal fine bisogna attendere l’entrata in vigore del decreto pubblicato ieri in Gazzetta Ufficiale e l’emananda circolare INPS che stabilirà le modalità di presentazione della domanda. Risultano pertanto prive di fondamento le notizie pubblicate a mezzo stampa secondo le quali dall’11 gennaio sarebbe possibile richiedere la prestazione.

 

sabato 16 gennaio 2016

Indicazione distinta in fattura per le manutenzioni con fornitura dei beni

Anche in assenza di beni significativi deve essere distinto il corrispettivo imputabile al materiale e alla manodopera

Per gli interventi di manutenzione, con contestuale fornitura del bene installato, la fattura di vendita deve sempre indicare l’assenza di beni significativi.
In assenza di tale specificazione, il fornitore non può invocare l’applicazione dell’aliquota IVA agevolata del 10%, a norma dell’art. 7 comma 1 lett. b) della L. 488/99, sull’intero corrispettivo pattuito.

La questione, mai affrontata da parte della prassi amministrativa, è stata oggetto di chiarimenti da parte della Commissione tributaria provinciale di Pavia, nella sentenza n. 258/1/15 depositata il 23 aprile 2015.
Richiamando le norme di legge che qui rilevano, l’art. 7 comma 1 lett. b) della L. 488/99 prevede l’applicazione dell’aliquota IVA del 10% per gli interventi di manutenzione (ordinaria e straordinaria) effettuati su edifici a prevalente destinazione abitativa privata. L’agevolazione, introdotta a decorrere dal 1° gennaio 2000, è stata oggetto di ripetute proroghe e messa “a regime” con l’art. 2 comma 11 della L. 191/2009.

Secondo quanto indicato nella C.M. 29 dicembre 1999 n. 247 (§ 2.1), l’aliquota ridotta si applica anche alla fornitura dei beni necessari per i lavori, a condizione che tali beni non costituiscano una parte significativa del valore delle cessioni effettuate nel quadro dell’intervento di manutenzione.
Viceversa, per i beni di valore significativo (individuati dal DM 29 dicembre 1999), l’aliquota del 10% potrà essere applicata solo fino a concorrenza della differenza tra il valore complessivo dell’intervento e quello dei beni medesimi.
Per cui, l’aliquota del 10% può applicarsi sulla totalità del corrispettivo se il valore dei beni significativi è inferiore al 50% del valore complessivo dell’intervento. 

La C.M. 7 aprile 2000 n. 71 (§ 5.1) ha, quindi, specificato che in fattura deve essere riportato distintamente il valore dei beni significativi ceduti (oltre che il valore complessivo dell’operazione) e che questi dati devono essere evidenziati anche nel caso in cui dal calcolo risulti che l’intero valore del bene significativo può fruire dell’aliquota IVA ridotta.
Nulla ha detto l’Amministrazione, invece, nell’ipotesi in cui la fornitura non abbia ad oggetto beni significativi.

Nel caso oggetto della sentenza, il contribuente aveva eseguito interventi manutentivi, con contestuale fornitura di beni, senza provvedere a distinguere la quota parte di corrispettivo relativa ai beni installati rispetto alla totalità del corrispettivo.
L’Agenzia disconosceva l’applicazione dell’aliquota agevolata del 10% di cui all’art. 7 comma 1 lett. b) della L. 488/99, non potendo essere accertata l’assenza di beni significativi nell’ambito della fornitura. Il contribuente osservava, in sede contenziosa, che né dalla disposizione di riferimento, né dai successivi interventi di prassi, poteva evincersi la necessità di distinguere sulla fattura di vendita il valore della manodopera rispetto a quello dei beni utilizzati nell’intervento.

Peraltro, anche l’art. 1 comma 19 della L. 244/2007, che, in sede di proroga dell’agevolazione in esame, aveva previsto l’obbligo di evidenziare in fattura il costo della manodopera per poter fruire dell’aliquota ridotta, è stato poi abrogato con il DL 70/2011.

Interessate le sole forniture nei confronti di “privati consumatori”

Nonostante il descritto quadro normativo e l’assenza di indicazioni della prassi dell’Agenzia delle Entrate, la fattura di vendita di beni significativi, nell’ambito di un intervento di manutenzione, deve sempre riportare la distinta indicazione del valore dei beni forniti, rispetto al valore complessivo dell’intervento.
Solo in questo modo – come ha rilevato la Commissione pavese – può essere verificata l’assenza di beni significativi e, quindi, la corretta applicazione dell’aliquota IVA nella misura del 10%.

Si osserva, da ultimo, che la questione riguarda le sole forniture nei confronti di “privati consumatori”, essendo in ogni caso escluse dalla disciplina per i beni significativi le prestazioni nei confronti di soggetti passivi d’imposta (sul punto, circ. Agenzia delle Entrate 22 dicembre 2015 n. 37, § 13).

 

mercoledì 13 gennaio 2016

Per i comodati ai parenti obbligo di registrazione

I contratti devono essere registrati per beneficiare delle agevolazioni introdotte dalla legge di stabilità 2016

Il comma 10 dell’art. 1 della L. 28 dicembre 2015 n. 208 introduce un’agevolazione, ancorché dai connotati molto stringenti, in tema di IMU prevedendo, a partire dal 1° gennaio 2016, una riduzione del 50% della base imponibile per le unità immobiliari concesse in comodato ai parenti (la disposizione ha effetti anche per la TASI considerato che la base imponibile è la stessa dell’IMU).
L’unità immobiliare non deve risultare accatastata nelle categorie catastali di maggior pregio (A/1, A/8 e A/9) e deve essere concessa in comodato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta entro il primo grado, ovvero ai genitori oppure ai figli. Questi, a loro volta, devono destinarla ad abitazione principale ovvero devono dimorare abitualmente e risiedervi anagraficamente.

Il proprietario del bene deve risiedere anagraficamente nonché dimorare nel Comune in cui è situato l’immobile concesso in comodato e può possedere, oltre a tale immobile, un altro immobile, nello stesso Comune, adibito a propria abitazione principale, ad eccezione delle unità abitative classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9. Il possesso di ulteriori immobili, anche a destinazione non abitativa e per quote, preclude l’accesso all’agevolazione.
Il beneficio spetterebbe pertanto al padre proprietario dell’immobile sito in Torino e concesso in comodato al figlio che lo destina ad abitazione principale. Il padre non perde il beneficio fiscale se possiede un altro immobile purché questo sia situato nello stesso Comune di Torino e adibito dal padre a propria abitazione principale.

Al fine di poter beneficiare della riduzione il soggetto passivo (ovvero il proprietario comodante) dovrà attestare il possesso dei requisiti, propri e del comodatario, nel modello di dichiarazione IMU di cui all’art. 9 comma 6 del DLgs 23/2011.
Ultimo requisito richiesto dalla norma è che il contratto di comodato, attestante la concessione del bene al parente, sia registrato.
Tale contratto (avente natura reale, cioè di contratto che per il suo perfezionamento necessita della consegna del bene oggetto dell’accordo) non è compreso nell’elenco di fattispecie indicate all’art. 1350 c.c. in materia di “Atti che devono farsi per iscritto”. In base al combinato disposto degli artt. 3 comma 1 e 22 del DPR 131/86, inoltre, è prevista la registrazione obbligatoria del contratto verbale di comodato solo ove questo venga enunciato in altro atto registrato e gli effetti dell’atto (verbale) enunciato non siano esauriti (in tal senso si veda, da ultimo, “Registrazione del comodato verbale non richiedibile in via amministrativa” dell’8 settembre 2014; cfr. anche ris. Agenzia delle Entrate 6 febbraio 2001 n. 14).

In altre parole, anche con riferimento ai beni immobili il contratto di comodato non deve obbligatoriamente essere sottoposto a registrazione (cfr. ris. Agenzia Entrate 25 maggio 2006 n. 71).
Diversamente, il contratto di comodato redatto in forma scritta deve essere assoggettato a registrazione nei 20 giorni dalla sua formazione con il pagamento dell’imposta fissa di registro di 200 euro.

Contratti da registrare quanto prima

Ora, poiché la norma ne prevede, quale condizione, la registrazione, occorrerà procedere, per poter usufruire dell’agevolazione fin dall’inizio del 2016 e non incorrere in sanzioni, a registrare quanto prima tali contratti, sia scritti che verbali.
A tal fine occorre tenere presente che, poiché l’IMU si applica per mesi completi e che viene computato per intero il mese per il quale il possesso, o la condizione agevolativa, si sia protratta per almeno quindici giorni, sarà necessario affrettarsi a registrare un contratto formato e con decorrenza dai primi 15 giorni del mese di gennaio, tenendo anche conto che si applica il termine ordinario dei 20 giorni dalla sua formazione (o per i contratti verbali dall’inizio della sua esecuzione) e non quello, più esteso, dei 30 giorni previsto solo per le locazioni.

Infine viene eliminata la disposizione contenuta nel comma 2 dell’art. 13 del DL 201/2011, che prevede che i Comuni possano assimilare all’abitazione principale l’unità immobiliare “concessa in comodato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta entro il primo grado che la utilizzano come abitazione principale prevedendo che l’agevolazione operi o limitatamente alla quota di rendita risultante in catasto non eccedente il valore di euro 500 oppure nel solo caso in cui il comodatario appartenga a un nucleo familiare con ISEE non superiore a 15.000 euro annui”.
Ovviamente i Comuni potranno prevedere per queste e altre fattispecie ulteriori riduzioni di imposta

 

domenica 10 gennaio 2016

Gli amministratori di srl sono «blindati»

Inapplicabile la revoca correlata all’entità del capitale sociale che decide per l’azione di responsabilità, da deliberare solo dopo l’indicazione nell’odg

In relazione all’azione “sociale” di responsabilità degli amministratori di srl è oramai consolidato il principio in base al quale la legittimazione attiva riconosciuta a ciascun socio non significa che la società, titolare del diritto al risarcimento del danno tanto da potervi anche rinunciare, non sia legittimata all’esercizio dell’azione stessa, ma solo che ciascun socio può esercitare l’azione nell’interesse della società benché non sia titolare del diritto al risarcimento del danno sofferto dalla società, che si pone come litisconsorte necessario (cfr., da ultimo, Trib. Roma 19 ottobre 2015 n. 20844 e Trib. Roma 25 marzo 2015).

L’assenza di indicazioni normative, peraltro, lascia nell’incertezza non poche ulteriori situazioni.
Si pensi, innanzitutto, al caso in cui l’assemblea della srl dovesse deliberare l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore con una maggioranza rappresentante almeno un quinto del capitale sociale.

Trova o meno applicazione l’art. 2393 comma 5 c.c., ai sensi del quale la deliberazione dell’azione di responsabilità nell’ambito delle spa importa la revoca degli amministratori contro cui è proposta purché sia presa con il voto favorevole di simile maggioranza? La questione è controversa. Secondo una parte della dottrina, l’applicabilità analogica dell’art. 2393 comma 5 c.c. alle srl si concilierebbe adeguatamente con l’art. 2476 comma 3 c.c., ai sensi del quale l’azione di responsabilità contro gli amministratori di srl “è promossa da ciascun socio, il quale può altresì chiedere, in caso di gravi irregolarità nella gestione della società, che sia adottato provvedimento cautelare di revoca degli amministratori medesimi”. Si è osservato, in particolare, come sarebbe razionale un sistema che, ai fini della revoca, correli all’iniziativa di un singolo socio la decisione del giudice sulla ricorrenza di gravi irregolarità gestionali, e all’iniziativa collettiva (dell’assemblea) la presenza di una maggioranza qualificata.

Secondo la ricostruzione prevalente, invece, con l’art. 2476 comma 3 c.c. il legislatore avrebbe disegnato l’unica ipotesi di revoca applicabile nell’ambito dell’azione di responsabilità, indipendentemente dalla circostanza che l’esperimento dell’azione sia basato su un’iniziativa individuale o collettiva, escluso qualsiasi automatismo nell’allontanamento degli amministratori dall’incarico.

Minori incertezze sembrano porsi in relazione all’art. 2393 comma 2 c.c., che, nelle spa, riconosce la possibilità di deliberare l’azione di responsabilità in occasione della discussione del bilancio, anche in difetto di una specifica previsione all’ordine del giorno. Rispetto a tale ipotesi sussistono precedenti giurisprudenziali che hanno, in modo condivisibile, optato per la soluzione che esclude il ricorso all’analogia (Trib. Milano 20 ottobre 2015 n. 11735 e Trib. Roma 30 maggio 2013 n. 11884). La norma, infatti, deroga all’ordinario principio di preventiva informazione circa l’oggetto delle delibere assembleari; principio che si manifesta nella necessità di inserire gli argomenti da trattare nell’ordine del giorno contenuto nell’avviso di convocazione dell’assemblea. In questa prospettiva, dunque, la previsione si presenta a carattere eccezionale e, come tale, insuscettibile di estensione analogica.

Essa, inoltre, si spiega con l’esigenza, propria delle spa, di agevolare e accelerare l’esercizio dell’azione, evitando che ostacoli o ritardi possano derivare dal doversi procedere alla convocazione di una nuova riunione assembleare, successiva a quella in cui sono stati rilevati, con la discussione sul bilancio, i fatti di “mala gestio” produttivi di danno per la società: a tale esigenza, ritenuta preminente, è stato sacrificato l’interesse del singolo socio a essere informato preventivamente, attraverso l’ordine del giorno, circa le materie che saranno trattate nel corso dell’assemblea (oltre all’interesse a prendere parte alla discussione e alla deliberazione in punto di azione di responsabilità).

Alla luce di tale ratio, è stato osservato come, stante la legittimazione anche del singolo socio di srl, l’esigenza agevolativa dell’azione di responsabilità esposta non meriti, in linea di principio, di essere considerata preminente rispetto all’interesse del singolo membro della compagine sociale all’informazione preventiva attraverso la comunicazione dell’elenco delle materie da trattare.

Nelle spa, ancora, la discussione sul bilancio costituisce, almeno in via ordinaria, l’unico momento di contatto tra amministratori e soci, con la conseguenza che proprio tale discussione è l’occasione, per i secondi, per acquisire notizie sull’andamento delle attività della società e valutare l’operato degli amministratori. Nella srl, invece, il socio è titolare di un penetrante potere di controllo esercitabile in qualunque momento e non solo in occasione delle assemblee (e, in particolare, di quella di approvazione del bilancio).
Infatti, ai sensi dell’art. 2476 comma 2 c.c., i soci che non partecipano all’amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali e i documenti relativi all’amministrazione. Tale diritto, non presente nelle spa, consente a ogni socio un costante monitoraggio dell’attività gestoria.
Ne deriva, si ribadisce, la non applicabilità alle srl dell’art. 2393 comma 2 c.c.

 

Obblighi antiriciclaggio da richiamare nella lettera di incarico

Dal CNDCEC il manuale delle procedure ex DLgs. 231/2007 per gli studi, con strumenti per professionisti, collaboratori e dipendenti

Il CNDCEC ha reso disponibile il manuale delle procedure operative antiriciclaggio per gli studi professionali. Nelle premesse del documento viene sottolineato come lo stesso sia stato predisposto in considerazione del fatto che i principi generali della normativa antiriciclaggio, richiamati all’art. 3 del DLgs. 231/2007, prevedono che i suoi destinatari adottino idonei e appropriati sistemi e procedure in materia di obblighi di adeguata verifica, di segnalazione di operazioni sospette, di conservazione dei documenti, di controllo interno, di valutazione e gestione del rischio. Inoltre, l’individuazione di apposite procedure interne (che devono essere definite tenendo conto della dimensione e della struttura organizzativa dello studio) favorisce la pronta ricostruibilità a posteriori delle decisioni assunte.

Il manuale è strutturato in otto sezioni, la prima delle quali è dedicata alle procedure per la gestione dell’incarico professionale e all’organizzazione dei compiti e delle responsabilità in ambito di adempienti antiriciclaggio all’interno dello studio.
In particolare, viene precisato come nella lettera di incarico professionale sia necessario richiamare l’adozione degli obblighi antiriciclaggio da parte del professionista. Inoltre, si evidenzia come il mandato scritto (che forma parte integrante del fascicolo della clientela ex art. 38 comma 2 del DLgs. 231/2007) sia fonte di elementi rilevanti anche ai fini antiriciclaggio, quali:
- l’oggetto della prestazione;
- la data della stipula del contratto e la sua decorrenza;
- il nominativo del professionista di riferimento.

La seconda sezione tratta delle attività da svolgere per la formazione del personale coinvolto nell’elaborazione e attuazione della normativa di riferimento. In tale ambito, viene fornito un modello per la definizione di un “Piano di formazione” che risulta utile per il professionista identificato come “Responsabile per l’antiriciclaggio” all’interno dello studio ai fini della pianificazione e della rilevazione dell’efficacia della formazione. Nella successiva sezione vengono suggerite delle modalità operative per la costruzione di un modello che consenta al professionista di rendere facilmente tracciabile il percorso di attribuzione dei livelli di rischio al cliente e alla prestazione professionale richiesta.

Con riferimento alla conservazione e alla registrazione dei dati, nel manuale viene evidenziato come sia possibile suddividere la sequenza degli eventi nelle seguenti fasi:
- il professionista dispone la registrazione dei dati raccolti nell’archivio o nel registro cartaceo;
- il collaboratore verifica i documenti raccolti e segnala eventuali difformità o incompletezze al professionista;
- il collaboratore istituisce un apposito fascicolo intestato al cliente curando l’ordinata archiviazione dei documenti;
- il collaboratore aggiorna il fascicolo della clientela con le informazioni raccolte dal professionista durante il controllo costante;
- all’atto dell’emissione delle parcelle il professionista e il collaboratore verificano la congruità della descrizione delle prestazioni fatturate con l’istruttoria e le registrazioni antiriciclaggio;
- il professionista comunica al collaboratore la conclusione dell’incarico professionale per le annotazioni del caso.
In tale contesto, viene inoltre presentato un esempio di contenuto del fascicolo della clientela.

Contenute anche indicazioni per identificare il titolare effettivo

Di sicuro interesse sono poi le indicazioni fornite in materia di identificazione del titolare effettivo nelle seguenti casistiche:
- titolare effettivo con soci di primo livello;
- titolare effettivo con catena di controllo;
- titolare effettivo con catena di controllo estera;
- titolare effettivo società con soci detentori di quote inferiori al 25% più uno;
- titolare effettivo di società fiduciaria;
- titolare effettivo di Trust e Fondazioni;
- titolare effettivo e Senior Managing Official (figura che corrisponde a quella di direttore generale).

Altre procedure specifiche fornite nel manuale riguardano la segnalazione di operazioni sospette, il controllo costante e il monitoraggio e la comunicazione al MEF delle infrazioni all’utilizzo del denaro contante. Il manuale si conclude con un modello di cronoprogramma dove vengono elencate le attività da svolgere nell’ambito della procedura per il controllo interno e le relative periodicità delle verifiche.

 

Dubbi interpretativi sul bonus mobili per le giovani coppie

Si attendono interventi di prassi per chiarire alcuni aspetti della nuova agevolazione introdotta dalla legge di stabilità 2016

Il comma 75 dell’art. 1 della legge di stabilità 2016 (L. 208/2015) riconosce una detrazione dall’IRPEF lorda, sino a concorrenza del suo ammontare, del 50% delle spese documentate, sino ad un ammontare complessivo non superiore a 16.000 euro, sostenute per l’acquisto di mobili ad arredo dell’unità immobiliare acquistata ed adibita ad abitazione principale di “giovani coppie costituenti un nucleo familiare composto da coniugi o da conviventi more uxorio che abbiano costituito nucleo da almeno tre anni, in cui almeno uno dei due componenti non abbia superato i trentacinque anni”. La detrazione deve essere ripartita tra gli aventi diritto in dieci quote annuali di pari importo e “non è cumulabile con quella di cui alla lettera c) del comma 74”.

La prima considerazione da svolgere attiene al presupposto oggettivo: a differenza del cosiddetto “bonus mobili” di cui all’art. 16, comma 2 del DL 63/2013, l’agevolazione riservata alle giovani coppie, ai fini della sua fruizione, richiede non la ristrutturazione, ma l’acquisto di un’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale della giovane coppia.

Già questa condizione applicativa crea le prime problematiche: poiché la norma prevede che sia la coppia ad acquistare l’abitazione, è sufficiente che acquirente formale sia uno dei due membri componenti la coppia o nell’atto di acquisto devono risultare entrambi i soggetti? Ed ancora, per acquisto si intende soltanto quello a titolo oneroso, oppure anche quello a titolo gratuito, come nel tipico caso in cui i genitori donino al figlio la casa in cui andrà a convivere?

L’ipotesi più razionale tenderebbe al riconoscimento dell’agevolazione per l’acquisto compiuto anche da un solo membro della giovane coppia, ed anche se l’acquisto sia a titolo gratuito, ma occorrerà attendere conferme dal Fisco su tali questioni.
A tal proposito, potrebbe essere utile ricordare che recentemente la Cassazione – in materia di prima casa ed, in particolare, della condizione per il mantenimento dell’agevolazione in caso di vendita infraquinquennale, per cui debba procedersi all’acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale entro un anno – ha stabilito che la norma, facendo riferimento al termine “acquisto”, intende sia quello oneroso che quello gratuito; a tale posizione si è recentemente uniformato anche il Fisco (cfr. Cass. nn. 16077/2013 e 5689/2014; ris. n. 49/2015).

Altre difficoltà interpretative attengono, poi, al presupposto soggettivo: le giovani coppie costituenti un nucleo familiare da almeno tre anni e composte da coniugi o da conviventi more uxorio, in cui almeno uno dei due componenti non abbia superato i trentacinque anni.
Innanzitutto, sarebbe stato utile definire in quale momento il componente della coppia non deve aver superato i 35 anni di età: all’atto dell’acquisto dell’immobile o dei beni agevolati (mobili e arredo)? Deve propendersi per la seconda opzione, ma anche sul punto occorrerà attendere una conferma di prassi.
Altro punto dolente della nuova fattispecie agevolativa attiene alla dimostrazione dell’esistenza della convivenza more uxorio da tre anni. In attesa dei necessari chiarimenti, è opportuno ricordare che la convivenza more uxorio può essere provata mediante il certificato di stato di famiglia che attesta la comune residenza (anche mediante autocertificazione, ai sensi dell’art. 46 del DPR n. 445 del 2000).

Da chiarire anche la cumulabilità con altre agevolazioni

Un’annotazione merita, inoltre, l’ultimo periodo del comma 75, secondo cui il bonus in oggetto “non è cumulabile con quello di cui alla lettera c) del comma 74”. A ben vedere, tale lettera c), che si limita a stabilire una proroga al 31 dicembre 2016, richiama le misure agevolative di cui “all’articolo 16” del DL 63/2013, comprendente la detrazione potenziata al 50% delle spese per le ristrutturazioni edilizie ex art. 16-bis del TUIR (comma 1 dell’art. 16), la detrazione del 65% delle spese per gli interventi antisismici (comma 1-bis dell’art. 16), nonché la detrazione del 50% delle spese per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici (cd. “bonus mobili”; comma 2 dell’art. 16).

Secondo un’interpretazione letterale di tale ultimo periodo del comma 75 dovrebbe concludersi, quindi, che l’agevolazione per le giovani coppie non sia cumulabile con tutte le tre detrazioni sopra elencate, ma interpretazione sistematica dovrebbe condurre alla conclusione che detta agevolazione per le giovani coppie non sia cumulabile soltanto con il bonus mobili di cui al secondo comma dell’art. 16 del DL 63/2013, prorogato a tutto il 2016, insieme alle altre detrazioni citate, dal comma 74, lettera c), dell’art. 1 della legge di stabilità 2016. In questa prospettiva, il riferimento normativo dell’ultimo periodo del comma 75 sarebbe errato, dovendosi ricondurre non alla menzionata lettera c) del comma 74, ma al secondo comma dell’articolo 16 del DL 63/2013. A tale svista del legislatore si spera porrà rimedio l’Agenzia delle Entrate.

Si ricorda, da ultimo, che la legge nulla stabilisce in merito alle modalità di pagamento delle spese agevolabili, ma, in riferimento all’analoga fattispecie del “bonus mobili” di cui al DL 63/2013, l’Agenzia delle Entrate richiede, ai fini della fruizione di tale bonus, che il pagamento avvenga tramite bonifico bancario/postale speciale, oppure con carta di credito o debito (cfr. circolari nn. 29/2013, § 3.6, 11/2014 § 5.3).
È possibile, perciò, che la stessa condizione venga posta anche con riferimento all’agevolazione per le giovani coppie (anche se, a ben vedere, essa è svincolata dalle ristrutturazioni edilizie e, quindi, dai suoi adempimenti, da cui il “bonus mobili” mutua l’obbligo di pagamento tracciato mediante le predette modalità).