domenica 29 maggio 2016

L'Agenzia «forza» le regole per il reverse charge nel settore informatico

La circolare 21 ha limitato l’applicazione alle fasi che precedono la vendita al dettaglio

Con la circolare n. 21 del 25 maggio 2016, l’Agenzia delle Entrate ha fornito primi chiarimenti in merito alle modifiche aventi carattere innovativo apportate dal DLgs 11 febbraio 2016 n. 24 all’art. 17 del DPR 633/72.
In particolare, si fa riferimento alle cessioni “di console da gioco, tablet PC e laptop, nonché alle cessioni di dispositivi a circuito integrato, quali microprocessori e unità centrali di elaborazione, effettuate prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale” che sono soggette al meccanismo dell’inversione contabile.

La disposizione previgente faceva riferimento esclusivamente “alle cessioni di personal computer e dei loro componenti ed accessori” ed era entrata in vigore solo dopo che il Consiglio europeo aveva autorizzato l’Italia ad applicare il meccanismo del reverse charge alle operazioni B2B aventi ad oggetto, per ciò che qui interessa, “ dispositivi a circuito integrato, quali microprocessori e unità centrali di elaborazione, effettuate prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale”.
All’atto dell’emanazione della nuova disposizione, che è entrata in vigore il 2 maggio scorso, si è posta la questione della portata della norma ed, in particolare, dal punto di vista soggettivo, se il meccanismo antifrode debba applicarsi ad ogni qualsivoglia cessione di console da gioco, tablet PC e laptop o solamente a quelle effettuate nella fasi antecedenti alla vendita al dettaglio.

Secondo quanto indicato nella richiamata circolare n. 21, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che la norma in parola trovi applicazione per le sole cessioni di beni effettuate nella fase distributiva che precede il commercio al dettaglio, ricalcando la posizione assunta con la circ. n. 59/2010 e con ris. n. 36/2011 in merito alle cessioni di dispositivi a circuito integrato e ai cellulari.

Tuttavia, alcune riflessioni sono necessarie. Le modifiche innovative di cui trattasi trovano fondamento nell’art. 199-bis, paragrafo 1 della Direttiva 2006/112/CE, il quale consente agli Stati membri di stabilire l’applicazione del meccanismo dell’inversione contabile ad una serie di operazioni tra cui:
- alla lett. d) le cessioni di dispositivi a circuito integrato, quali microprocessori e unità centrali di elaborazione, effettuate prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale
- alla lett. h) le cessioni di console da gioco, tablet PC e laptop.

Formulazione delle disposizioni comunitarie non omogenea

La formulazione delle disposizioni comunitarie concernenti le due tipologie di beni è disomogenea ed il fatto che le due fattispecie siano poste in posizione nettamente distinta (la prima alla lettera d), la seconda alla lettera h) dovrebbe far cadere ogni dubbio circa la valenza da attribuire alla congiunzione “nonché”, contenuta nella citata norma interna e, conseguentemente, circa la riferibilità dell’inciso “effettuate prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale” alle sole cessioni di dispositivi a circuito integrato.

A ciò si aggiunge una riflessione in merito alle previsioni del paragrafo 1-bis del richiamato art. 199-bis, secondo cui gli Stati membri possono determinare le condizioni per l’applicazione del meccanismo dell’inversione contabile alle operazioni di cui al paragrafo 1. Tale potere, tuttavia, dovrebbe ritenersi attribuito e riservato al legislatore nazionale ed a tale ambito ristretto (seppure considerando valida ogni fonte normativa).

La scelta compiuta dall’Agenzia, esternata nella circolare, è stata dalla stessa motivata richiamando la frequenza con cui avvengono le operazioni di vendita nel commercio al dettaglio che renderebbe particolarmente onerosa la gestione di due regimi fiscali diversi a seconda dello status soggettivo del cessionario, rendendo non perseguibile una delle finalità cui è volta l’applicazione dell’inversione contabile, ossia la semplificazione della procedura di riscossione dell’IVA.

A ciò si sarebbe probabilmente potuto ovviare, almeno in parte, in sede di chiarimenti e senza necessità di un intervento del legislatore, ad esempio, ritenendo che non fosse onere del retailer appurare lo status del cessionario, ma obbligo di quest’ultimo comunicarlo.

 

giovedì 19 maggio 2016

Sanzioni più care per il CAF che rilascia il visto di conformità infedele

Solita follia all’italiana….

Dal 1° gennaio 2016, risponde solidalmente di una somma pari a imposta, sanzione e interessi che sarebbero stati richiesti al contribuente

Tra le novità fiscali contenute nella L. 208/2015 (legge di stabilità 2016), sulle quali l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti con la circolare n. 20/2016, figurano anche le sanzioni a carico dei Centri di assistenza fiscale (CAF) in caso di visto di conformità/asseverazione infedele.

Al riguardo, si ricorda che, in base all’art. 39 comma 1-bis del DLgs. 241/97, prima dell’intervento della legge di stabilità 2016, il CAF, per cui avesse operato il trasgressore, era obbligato solidalmente con il trasgressore a pagare una somma pari alla sanzione irrogata, nei casi di violazioni commesse relative a infedele rilascio dei visti di conformità e delle asseverazioni per gli studi di settore (ex art. 39 comma 1 del DLgs. 241/97).

Nella circ. n. 20, l’Agenzia spiega che, integrando tale disposizione, l’art. 1 comma 957 della L. 208/2015 ha stabilito che, dal 1° gennaio 2016, il CAF risponda solidalmente non più solo di un importo pari alla sanzione irrogata, ma, in caso di visto di conformità e/o asseverazione infedele, di una “somma pari all’importo dell’imposta, della sanzione e degli interessi che sarebbero stati richiesti al contribuente” per violazioni riscontrabili in sede di liquidazione delle imposte, dei contributi, dei premi e dei rimborsi dovuti in base alle dichiarazioni, ai sensi dell’art. 36-bis del DPR 600/73, e in caso di controllo ai sensi degli artt. 36-ter e seguenti dello stesso decreto, oltre che in caso di liquidazione dell’imposta dovuta in base alle dichiarazioni e di controllo, in forza di quanto disposto dagli artt. 54 e seguenti del DPR 633/72.

Secondo tale impostazione dell’Agenzia delle Entrate, pertanto, la responsabilità solidale del CAF, come disciplinata dalla legge di stabilità 2016, non è limitata solo al visto di conformità infedele relativo al modello 730, ma ha un’applicazione generalizzata, essendo prevista per ogni tipologia di dichiarazione.
Trattasi di un’espansione della solidarietà in capo ai CAF di non poco conto, visto che riguarda non solo le attività di liquidazione automatica/controllo formale ma anche quelle di accertamento. 

L’Amministrazione finanziaria precisa che la colpevolezza del responsabile dell’assistenza fiscale – e, di conseguenza, anche la responsabilità solidale del CAF – è esclusa se il visto infedele è stato indotto dalla condotta dolosa o gravemente colposa del contribuente. Evidenziamo che tale limitazione di responsabilità sembra, a rigore, circoscritta al caso del visto infedele rilasciato in merito al modello 730.
La violazione di visto infedele non è comunque punibile se determina un importo iscrivibile a ruolo non superiore a 30 euro, con riferimento a ogni periodo d’imposta.

Violazioni non circoscritte ai modelli 730

Come chiarito dalla circolare n. 34/2015, infatti, dal 1° luglio 2012 si deve far riferimento a quanto stabilito dall’art. 3 comma 10 del DL 16/2012 convertito, secondo il quale non si procede ad accertamento, iscrizione a ruolo e riscossione dei crediti relativi a tributi erariali, regionali e locali, se l’ammontare dovuto, comprensivo di sanzioni e interessi, non supera 30 euro.
Inoltre, questo limite si applica alle attività di accertamento, iscrizione a ruolo e riscossione poste in essere dagli uffici dal 1° luglio 2012, a prescindere dal fatto che si tratti di attività relative a periodi d’imposta pregressi (si veda “Visto infedele sul 730 non punibile fino a 30 euro” del 23 ottobre 2015).

Nella circ. n. 20/2016 l’Agenzia ricorda infine – rinviando per ulteriori approfondimenti alla circ. n. 52/2007 – che la responsabilità solidale opera, in ogni caso, nel rispetto del combinato disposto degli artt. 5 e 11 del DLgs. 472/97, riguardanti il principio di colpevolezza e di responsabilità nell’ambito delle regole generali sulle sanzioni amministrativo-tributarie, e che, in virtù del principio di legalità di cui all’art. 3 dello stesso DLgs., l’estensione della responsabilità solidale alle altre somme indicate all’art. 39 comma 1 del DLgs. 241/97 opera relativamente alle violazioni commesse successivamente al 31 dicembre 2015, cioè dall’entrata in vigore della L. 208/2015.

 

venerdì 6 maggio 2016

Sponsorizzazioni, anche per l'IVA prova dell'inerenza

Per la Cassazione l’imposta è detraibile laddove i costi siano elementi costitutivi del prezzo dei beni o dei servizi venduti

Con la sentenza n. 5195/2016, la Cassazione si è pronunciata in merito ai criteri idonei a valutare l’inerenza all’attività d’impresa dei costi sostenuti da un soggetto passivo IVA per l’acquisto di servizi pubblicitari.
Affinché possa ritenersi detraibile l’IVA relativa alla fruizione di un servizio, in applicazione del principio di inerenza, deve sussistere un nesso diretto e immediato tra una specifica operazione “a monte” e una o più operazioni “a valle” (le quali conferiscano il diritto alla detrazione dell’imposta). In questo senso è assolutamente consolidata l’interpretazione della Corte di Giustizia Ue (tra le altre, si veda la sentenza SKF, relativa alla causa C-29/08 del 29 ottobre 2009).

A tal fine, l’immediatezza deve essere intesa in senso funzionale, per cui il requisito dell’inerenza può essere verificato con riferimento all’attività economica, al fine di propiziarne lo sviluppo (Corte di Giustizia Ue 22 ottobre 2015 causa C-126/14, Sveda), ritenendosi sussistente il “nesso diretto ed immediato” anche qualora i costi dei servizi siano ricompresi fra le spese generali del soggetto passivo.

Il caso specifico riguardava una società operante nel settore della produzione tessile, che acquistava servizi di pubblicità dalla controllante e affidava la commercializzazione dei propri prodotti a due società distributrici, anch’esse controllate dalla medesima capogruppo. L’Agenzia delle Entrate, in considerazione del fatto che le attività funzionali al collocamento dei beni sul mercato risultavano estranee all’oggetto dell’attività dell’impresa, consistente nella sola produzione dei beni, escludeva l’inerenza dei costi sostenuti per i servizi di pubblicità e disconosceva la detrazione dell’IVA assolta in relazione a tali costi ai sensi dell’art. 19 del DPR 633/72.

Fermo restando quanto già ricordato circa la necessità di un “nesso diretto e immediato” tra le operazioni “a monte” e le operazioni “a valle” ai fini della detrazione dell’IVA, si osserva che, nel caso di specie, il costo dei servizi pubblicitari veniva sostenuto dalla società produttrice non a suo diretto vantaggio, bensì a favore di un terzo detentore del marchio pubblicizzato.

Sulla scorta di quanto già affermato dalla Corte con riferimento ai costi di sponsorizzazione (Cass. 22 dicembre 2014 n. 27198), se lo sfruttamento del marchio altrui comporta un’utilità per un soggetto diverso dal detentore del marchio – utilità consistente nel potenziale incremento della sua attività commerciale – i relativi costi connessi all’utilizzo del marchio vanno considerati inerenti, ai fini fiscali, all’attività dell’impresa che ne beneficia. Almeno in linea teorica, può sussistere quindi, anche in tale ipotesi, una correlazione fra l’acquisto “a monte” e le operazioni “a valle”.

Fatte queste necessarie premesse, la Cassazione, nella sentenza n. 5195, giunge alla conclusione che, per valutare l’inerenza di un servizio di pubblicità acquistato da un soggetto passivo, ai fini della detraibilità dell’IVA, la condizione è che “i costi siano elementi costitutivi del prezzo dei beni o dei servizi che il soggetto passivo fornisce” e tale condizione deve essere rispettata dal soggetto che ha provveduto al “ribaltamento” dei costi.

Non sufficiente un nesso “teorico” di inerenza

In sostanza, secondo la Suprema Corte, non sarebbe sufficiente la realizzazione di un nesso di inerenza, per così dire, “teorico”. L’art. 168 della direttiva 2006/112/CE prevede che il diritto alla detrazione dell’imposta può essere esercitato dal soggetto passivo nella misura in cui i beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, sottintendendo l’esistenza di una correlazione piuttosto stringente. Come evidenziato da autorevole dottrina, il principio di potenzialità della detrazione, secondo il quale detto diritto è riconosciuto anche nell’ipotesi in cui i beni e servizi siano destinabili (e non soltanto destinati) alla realizzazione di operazioni imponibili, trova comunque un limite nel requisito di inerenza delle operazioni all’attività d’impresa.

In questo senso, la prova del nesso di inerenza (prova che spetta al soggetto passivo fornire) deve consistere nella dimostrazione che i costi sostenuti per gli acquisti effettuati “a monte” sono parte degli elementi costitutivi del prezzo delle operazioni attive assoggettate a imposta.
A tal proposito, però, sembra opportuno sottolineare che la particolare natura delle spese sostenute per pubblicità e sponsorizzazioni pone spesso di fronte al problema di provare la loro inerenza rispetto ad operazioni attive eseguite nell’ambito dell’attività d’impresa.

Oltretutto, ai fini IVA, non sarebbe sufficiente dimostrare che dette spese, sostenute per diffondere la conoscenza dell’impresa e dei suoi prodotti, siano funzionali a un “potenziale incremento” dell’attività commerciale (come sembra emergere dalla Cass. n. 27198/2014), occorrendo, altresì, dimostrare che il relativo costo è incorporato nel corrispettivo di operazioni specifiche effettuate “a valle” o nel prezzo dei beni e servizi forniti dal soggetto passivo nell’ambito delle sue attività economiche

 

martedì 3 maggio 2016

Al via il reverse charge per tablet e laptop

Disapplicate invece le misure di inversione contabile per componenti e accessori di telefoni cellulari

Dal prossimo lunedì 2 maggio, per le cessioni di tablet PC, laptop e console da gioco l’IVA si applica con il meccanismo del reverse charge. La speciale misura è prevista dall’art. 17 comma 6 lett. c) del DPR 633/72, come modificato dal DLgs. 24/2016 (entrato in vigore il 3 marzo 2016 ma efficace, appunto, a decorrere dal 2 maggio) e regola le operazioni effettuate fino al 31 dicembre 2018.L’efficacia “limitata” a livello temporale della disciplina discende dal disposto dell’art. 199-bis della direttiva 2006/112/CE in materia di IVA, come recepito dall’art. 17 comma 8 del DPR 633/72 (anch’esso modificato dal DLgs. 24/2016).Alla luce delle nuove regole, a decorrere dalle cessioni di tablet, laptop e console effettuate dal 2 maggio 2016, il debitore d’imposta risulterà essere il cessionario, se soggetto passivo. Per applicare la nuova norma, risulterà decisivo individuare il momento di effettuazione dell’operazione, come determinato ai sensi dell’art. 6 commi 1 e 4 del DPR 633/72. Quindi, per le cessioni dei beni in questione, l’IVA si applica con il meccanismo del reverse charge se, anteriormente al 2 maggio 2016:- non è avvenuta la consegna o spedizione del bene;- né è stata emessa fattura;- né è intervenuto il pagamento del prezzo.A questo riguardo, si ricorda che, come indicato dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 44/2012 in merito al regime di IVA per cassa, per i pagamenti non effettuati per contanti il cedente dovrà fare riferimento alle risultanze dei propri conti dai quali risulta l’accreditamento del corrispettivo (es. assegni bancari, RI.BA, RID, bonifico bancario).Le nuove disposizioni in materia di reverse charge non sono condizionate da restrizioni né di carattere oggettivo né soggettivo. Per cui, sotto il profilo oggettivo, si applicano ai tablet PC e ai laptop, riconducibili al codice 8471.30 della Nomenclatura combinata (codice 8471.30), nonché alle console da gioco, classificate nella Nomenclatura combinata con il codice 9504.50.Non rileva, tra l’altro, la condizione che il bene sia usato piuttosto che nuovo (salvo l’adozione del regime del margine).Sotto il profilo soggettivo, non vi sono limitazioni che non siano dettate dallo status di soggetto passivo d’imposta del cessionario. La norma si applica prescindendo dallo stadio di commercializzazione del bene, diversamente da quanto indicato dall’Agenzia delle Entrate per le cessioni di telefoni cellulari (cessioni per le quali, si ricorda, è previsto il reverse charge ex art. 17 comma 6 lett. b) del DPR 633/72).Per i telefoni cellulari, la circolare Agenzia delle Entrate n. 59/2010 aveva “limitato” il campo di applicazione del reverse charge alle sole cessioni “effettuate nella fase distributiva che precede il commercio al dettaglio”. Condizione che non dovrebbe essere riproposta anche per tablet, laptop e console da gioco, stante la recente emanazione della norma di legge (“ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”). Opportuni chiarimenti sui “punti aperti” per le cessioni di telefoni cellulariSarebbe, comunque, opportuna una presa di posizione dell’Agenzia, per fugare eventuali dubbi al riguardo. Il che potrebbe rappresentare l’occasione per chiarire anche altri “punti aperti” relativi alle cessioni di telefoni cellulari, tra cui, ad esempio, l’esatta nozione di “apparecchiature terminali per il servizio pubblico radiomobile terrestre di comunicazioni soggette alla tassa sulle concessioni governative” (vi rientrano anche gli smartphone e i combinatori telefonici degli impianti antifurto, anch’essi dotati di SIM telefonica?).Si ricordano, da ultimo, le altre novità introdotte dal DLgs. 24/2016, in materia di reverse charge nel settore “informatico”, per le quali, però, la decorrenza è già “scattata” il 3 marzo 2016:- lo speciale meccanismo si applica alle sole cessioni di dispositivi a circuito integrato (microprocessori e unità centrali di elaborazione), effettuate prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale (è stata abrogata la norma che faceva riferimento ai “personal computer”, disapplicata a seguito della decisione del Consiglio Ue 22 novembre 2010 n. 710);- è stata abolita la previsione di inversione contabile per le cessioni di componenti ed accessori dei telefoni cellulari