domenica 31 gennaio 2016

Il ristorante «mascherato» da ente non commerciale soccombe in giudizio

La Provinciale di Firenze legittima il controllo globale sull’attività effettivamente esercitata dal contribuente

Con la sentenza n. 32/3/16 del 13 gennaio 2016, la C.T. Prov. di Firenze ha evidenziato interessanti considerazioni in tema di abuso del diritto applicato a un ente non commerciale che si occupava in realtà di attività di ristorazione.

Nel caso di specie l’Agenzia delle Entrate aveva disconosciuto la qualifica di ente non commerciale, con la conseguente determinazione di imposte evase e l’applicazione di sanzioni e interessi.
L’Ufficio riteneva infatti di disapplicare le agevolazioni fiscali ex L. 398/91 per i seguenti motivi: i proventi derivanti dalla somministrazione senza svolgimento di spettacolo (l’associazione si occupava di eventi teatrali) erano preponderanti, essendo quindi evidente che la vera attività svolta era appunto quella di somministrazione; numerose fatture di somministrazione erano state inoltre emesse, in base a un contratto di prestazione di servizi tra lo stesso ente non commerciale e un noto ristorante, nei confronti di soggetti non soci; la partecipazione dei soci alla vita sociale era inesistente e alle assemblee risultavano presenti solo i cinque soci fondatori, su oltre 800 soci.

L’attività di somministrazione risultava del resto solo formalmente affidata al citato ristorante, ma in realtà era diretta e gestita dall’associazione, che ne era la effettiva titolare, anche considerato che esisteva un’evidente commistione tra i due soggetti giuridici (associazione e ristorante), essendo i rispettivi rappresentanti legali tra loro coniugati. L’associazione aveva infine un numero di dipendenti elevato, che rendeva inverosimile il loro impiego esclusivamente per le attività istituzionali/amministrative.

L’Amministrazione finanziaria concludeva pertanto che l’associazione era stata costituita in abuso del diritto e solo per fini di risparmio fiscale, tra cui, in particolare, la mancata imposizione di quanto versato a titolo di quote sociali e la tassazione agevolata della quota percentuale di proventi imputata all’associazione anziché al ristorante.
Secondo l’Ufficio accertatore, inoltre, il pagamento della tessera d’iscrizione non era un’adesione all’associazione, ma solo un sovrapprezzo per poter usufruire della cena comprensiva dello spettacolo, come anche dimostrato dall’inserimento della stessa associazione nella categoria ristoranti, non solo su vari siti internet ma anche sul sito delle Pagine Gialle.

La Commissione tributaria, esaminata la documentazione, riteneva dunque che la qualificazione di ente non commerciale dell’associazione non era confermata dall’effettivo funzionamento organizzativo e dall’attività svolta e che dai verbali delle assemblee dei soci risultava che avevano partecipato, anche per l’approvazione dei bilanci di previsione e consuntivo, solo i 5 soci fondatori, ma agli atti risultava solo il bilancio di verifica consuntivo e non la relazione sul rendiconto, né il bilancio di previsione.

Oltre a ciò, dai verbali delle assemblee dei soci e del comitato di gestione non risultava alcun accenno a iniziative tese al perseguimento dei fini istituzionali, mentre risultava specificatamente regolamentata l’attività di somministrazione di cibi e bevande, con l’indicazione dei prezzi da praticare al pubblico, da parte del ristorante affidatario della gestione di tale servizio.
Per di più, la società (srl) che svolgeva attività di ristorante era controllata al 66% dal coniuge del Presidente dell’associazione, nonché socio fondatore e componente del Comitato di gestione della medesima associazione.

Palese commistione tra i due soggetti giuridici

Sulla base di tutte le suddette considerazioni, la C.T. Prov. concludeva pertanto che l’associazione non presentava la connotazione richiesta per avere la qualifica di ente non commerciale con diritto alle conseguenti agevolazioni fiscali.
La srl e l’associazione erano dunque di fatto riconducibili al rappresentante legale del ristorante, con una chiara commistione tra i due soggetti giuridici, solo formalmente distinti.

Era pertanto fondata l’affermazione dell’Ufficio circa l’esistenza di una situazione di abuso del diritto, finalizzato a eludere, attraverso l’utilizzo dell’associazione culturale per lo svolgimento di un’attività commerciale, il pagamento delle imposte relative alle quote sociali, che invece erano attratte nell’attività commerciale e si configuravano come corrispettivo per l’attività principale di somministrazione, al cui incremento l’attività culturale era solo funzionale.

L’attenzione dei controlli si deve concentrare quindi sull’attività complessivamente svolta dall’ente, valutando se le “altre attività” non istituzionali siano tali – per la loro natura e per le modalità di esercizio – da distorcere le finalità istituzionali per le quali l’ente stesso si è, almeno da un punto di vista formale, costituito, così da rendere l’espressione ente non commerciale un mero schermo all’esercizio di un’autentica attività commerciale.