venerdì 27 novembre 2015

Sponsorizzazioni deducibili solo con la prova di congruità

Occorre anche dimostrare il nesso inferenziale tra l’attività sponsorizzata e quella svolta dalla società

Affinché le spese di sponsorizzazione siano deducibili alla stregua di spese di pubblicità è necessario che il contribuente dimostri, attraverso l’allegazione di idoneo materiale documentale, sia la sussistenza dei requisiti di certezza ed inerenza, anche sotto il profilo della loro congruità, sia la capacità di dette spese di incidere positivamente, anche in prospettiva, sui ricavi aziendali. È quanto si desume dalla recente sentenza n. 4850/2015 della C.T. Reg. di Milano.

Ai sensi dell’art. 108, comma 2, primo periodo del TUIR, le spese di pubblicità e di propaganda sono deducibili nell’esercizio in cui sono state sostenute o in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi.
Tralasciando, in questa sede, il tema delle sponsorizzazioni di associazioni sportive dilettantistiche già esaminato in precedenza (si veda “Sponsorizzazioni ad associazioni sportive sempre deducibili sotto i 200 mila euro” del 5 ottobre 2015), il dettato normativo testé riportato è, invero, piuttosto generico, lasciando all’interprete il compito di desumere ciò che intenda la disciplina di riferimento.

La Cassazione, al riguardo, ha posto due paletti fondamentali ai fini della deducibilità delle spese in oggetto: la prova, da parte del contribuente, dell’inerenza sotto il profilo non solo qualitativo, ma anche quantitativo, della spesa, nonché il nesso inferenziale di questa con i ricavi.

Per quanto concerne il primo punto, la Suprema Corte ha sempre ribadito che costituiscono spese di pubblicità o propaganda quelle sostenute per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque dell’attività svolta, ovvero per ottenere un incremento, più o meno immediato, della vendita di quanto realizzato nei vari cicli produttivi ed in certi contesti, anche temporali; la finalità di tali spese, cioè, deve essere promozionale e di incremento commerciale, normalmente, concernente la produzione realizzata in un determinato contesto (cfr. Cass. nn. 8679/2011, 21270/2008, 17602/2008, 9567/2007). La prova della sussistenza di tale finalità, come si vedrà anche nel prosieguo, ricade sul contribuente che intende portare in deduzione le spese in oggetto.

Relativamente al secondo punto, ovvero la necessità di un nesso inferenziale tra spese di sponsorizzazione e i ricavi – o, meglio, l’attività esercitata dalla società – la Suprema Corte ha stabilito che il contribuente deve fornire la dimostrazione di quale concreto ritorno economico si possa attendere dalla sponsorizzazione. Qualora non vi sia alcun nesso tra l’attività sponsorizzata e quella posta in essere dallo sponsor, allora le spese non possono considerarsi di pubblicità ed essere dedotte secondo la relativa disciplina (cfr. Cass. nn. 3433/2012 e 25100/2014; si veda anche C.T. Prov. Milano 29 aprile 2015 n. 3819/47/15).

Recentemente, i giudici di legittimità hanno statuito che, ai fini della deducibilità delle spese di sponsorizzazione alla stregua di spese di pubblicità, è necessario che il contribuente dimostri non solo la congruità dei costi sostenuti a fini di sponsorizzazione in rapporto all’attività caratteristica e al volume d’affari che ne costituiscono il risultato, ma pure la loro idoneità ad ampliare le prospettive di crescita dell’impresa nell’ambito territoriale beneficiato dalle attività di sponsorizzazione. In quest’ottica, non è sufficiente che la spesa sia debitamente documentata, ma occorre altresì che ne sia comprovata l’inerenza sotto il profilo del concreto vantaggio che, nello specifico contesto territoriale, ne possono ritrarre le attività del contribuente in termini di allargamento della clientela e di incremento dei ricavi (cfr. Cass. n. 10914/2015; nello sesso senso, Cass. nn. 15318 e 16812 del 2014 e n. 5494/2013).

Con la pronuncia in commento, i giudici regionali lombardi hanno confermato integralmente i principi sopra enunciati. Dovendosi pronunciare sul caso di una srl lombarda, importatrice dal Giappone di plotter e stampanti, che aveva dedotto costi di sponsorizzazione di un rally tenutosi a San Marino per circa mezzo milione di euro, a fronte delle contestazioni del Fisco circa la non congruità, nonché l’antieconomicità, delle spese in oggetto, peraltro in presenza di documentazione probatoria scarsa (contratto di sponsorizzazione ed un CD dell’evento preparato anticipatamente ad esso), i giudici milanesi hanno stabilito che il Fisco aveva legittimamente sindacato tali costi, potendo esso controllare – come affermato anche dal collegio di prime cure – “se non la strategia e la scelta imprenditoriale, quantomeno l’entità degli esborsi, dato che in caso contrario diventerebbe possibile qualsiasi arbitrio”.

Secondo i giudici di merito, la società, essendone onerata, non aveva fornito alcuna prova della congruità delle somme contestate. Tali costi, del resto, non potevano certamente essere considerati come “normalmente necessari e strumentali”, tanto più che le attività sponsorizzate erano a San Marino, luogo non coincidente con quello di operatività della società (e per di più, all’epoca dei fatti, Paese black list). Di qui la conferma dell’indeducibilità delle spese.