sabato 28 novembre 2015

Riduzione del canone di locazione efficace anche senza registrazione

Il contribuente può provare di avere percepito un importo minore anche con altri mezzi, come la scrittura privata o la contabilità

Negli ultimi anni si è assistito con frequenza ad accordi, intervenuti dopo la sottoscrizione del contratto di locazione originario, con i quali le parti hanno ridotto l’ammontare del canone per venire incontro alle richieste del conduttore.
Si pone, quindi, il problema dei mezzi di prova per dimostrare l’avvenuta riduzione: in assenza di questa prova, infatti, è realistico che i contribuenti possano risultare destinatari di accertamenti parziali ai sensi dell’art. 41-bis del DPR 600/73, in quanto il corrispettivo previsto dal contratto non corrisponde a quanto dichiarato nel quadro RB del modello UNICO.

Secondo la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 60 del 28 giugno 2010, l’accordo di riduzione del canone non deve essere obbligatoriamente registrato (la riduzione del canone, in questo senso, non sarebbe equiparata alla cessione, risoluzione o proroga del contratto); tuttavia, le parti, allo scopo di attribuire all’atto data certa e di rendere nota all’Amministrazione finanziaria la nuova pattuizione, potrebbero registrare volontariamente l’accordo di riduzione.

Per la risoluzione, quindi, vi sarebbe non tanto una correlazione tra la registrazione dell’accordo modificativo e la possibilità, per il locatore, di dichiarare i minori canoni di locazione, così come risultanti dall’accordo stesso, quanto piuttosto l’individuazione della registrazione del contratto di locazione quale atto che, conferendo data certa alla nuova pattuizione, sancisce il momento a decorrere dal quale la riduzione esplicherebbe efficacia ai fini fiscali.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, infatti, il perfezionamento dell’accordo di riduzione del canone può determinare la riduzione della base imponibile dell’imposta di registro e delle imposte sui redditi, per cui “può rispondere ad esigenze probatorie la necessità di attribuire alla modifica contrattuale la data certa di fronte ai terzi” (tra i quali rientrerebbe, evidentemente, l’Erario).

La giurisprudenza ha esaminato in special modo il caso della risoluzione del contratto di locazione, con principi che possono però essere estesi a quello della riduzione del canone. Più sentenze di merito (C.T. Reg. Milano n. 15 del 31 gennaio 2011; C.T. Reg. Milano n. 3979 del 21 settembre 2015; C.T. Reg. Firenze n. 87 del 19 settembre 2013) hanno dato ragione all’Amministrazione finanziaria, sostenendo che in mancanza di validi elementi di prova in merito alla risoluzione questa non può avere effetti sotto il profilo fiscale, obbligando quindi il proprietario dell’immobile a continuare a dichiarare i canoni nella misura prevista dal contratto.

Altre sentenze hanno, invece, hanno ritenuto meritevoli di accoglimento i ricorsi dei contribuenti.
Secondo la sentenza della C.T. Prov. Forlì n. 125 del 3 marzo 2014, riguardante il caso di una locazione di immobili ad uso commerciale risolta per inadempimento della controparte dopo pochi mesi dalla stipulazione del contratto, non è plausibile che un contratto di locazione per il quale non sia stata pagata l’imposta per la sua risoluzione debba considerarsi produttivo di effetti fiscali; la controparte ha infatti provato che il canone è stato corrisposto solo per alcuni mesi, dopo di che il contratto si è sciolto in virtù della clausola risolutiva espressa, senza che però vi siano presunzioni di incasso delle somme pattuite in assenza della registrazione (l’unica conseguenza, peraltro marginale, sarebbe la liquidazione ex post dell’imposta di registro dovuta).

Sentenza di Cassazione favorevole nel caso di risoluzione

Ma la pronuncia che maggiormente interessa in questa sede è venuta dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 22588 dell’11 dicembre 2012).
Secondo la Suprema Corte, in particolare, è infondato il ragionamento in base al quale l’intervenuta risoluzione del contratto di locazione, se non resa pubblica mediante la registrazione, non consente di escludere i canoni di locazione dalla base imponibile IRPEF; infatti, “un contratto risolto, inidoneo per conseguenza a dispiegare effetti almeno a far data dalla sua risoluzione, non può essere considerato fonte di produzione di redditi (...); manifestamente irrilevante è il dato dalla registrazione dell’intervenuta risoluzione, che risponde a mere finalità di pubblicità, senza incidere sul regime sostanziale del rapporto contrattuale”.

Gli eventi interruttivi del contratto di locazione hanno, quindi, efficacia ai fini fiscali (determinando la cessazione dell’obbligo di corrispondere le imposte) anche se non portati a conoscenza dell’Amministrazione finanziaria con la registrazione, e così si deve ritenere per gli accordi di riduzione del canone.
Altri elementi di prova (la scrittura privata stessa, unitamente alle eventuali scritture contabili delle parti) possono quindi validamente fondare la resistenza alle pretese degli Uffici, non avendo la registrazione efficacia costituiva della pattuizione tra le parti.