sabato 13 febbraio 2016

La riforma del diritto fallimentare non convince del tutto

Opinione nel complesso positiva, ma emergono perplessità in merito alle ultime modifiche al testo uscito dalla Commissione Rordorf

ROMA – Generale soddisfazione ma con qualche riserva, soprattutto in merito alle modifiche dell’ultima ora apportate dall’Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia. Questi i primi giudizi in merito al disegno di legge che delega il Governo alla riforma del diritto fallimentare, licenziato dalla Commissione Rordorf e approvato nel Consiglio dei Ministri notturno dello scorso mercoledì, dopo, appunto, le ulteriori correzioni del Ministero.

Il provvedimento era al centro del convegno dedicato alla crisi d’impresa, organizzato dal CNDCEC in collaborazione con l’ODCEC di Roma, e tenutosi ieri nella Capitale. Un evento a cui ha preso parte anche Renato Rordorf, Primo Presidente aggiunto della Corte di Cassazione, che si è soffermato sui principi generali che hanno guidato il lavoro della Commissione ma non sulle modifiche apportate dall’Ufficio legislativo di via Arenula, che ha introdotto delle novità soprattutto in materia di procedura d’allerta: “Le devo ancora studiare con attenzione – ha sottolineato –, dico solo che non implicano che la procedura diventi giudiziaria. Se lo diventasse, quel gioco di incentivi e disincentivi attraverso i quali si vorrebbe spingere l’imprenditore a superare la sua naturale ritrosia ad avvicinarsi a questa procedura rischierebbe di non funzionare”.

Proprio per questo, la Commissione aveva previsto una procedura d’allerta fuori dal perimetro del giudice, affidando a organi sociali dell’azienda (allerta interna) e creditori qualificati (allerta esterna) il compito di dare tempestiva comunicazione (in caso di forti indizi di crisi) all’organo di controllo societario e, in mancanza di adeguata risposta, all’Organismo di composizione della crisi.
Con le modifiche da ultimo intervenute, però, si contempla un ulteriore passaggio: trascorsi sei mesi, l’OCC andrà a verificare se l’imprenditore ha posto in essere tutte le misure necessarie per il superamento della crisi e, in caso negativo, ne darà comunicazione al tribunale. Il giudice nominerà un professionista in possesso di adeguate competenze per valutare la situazione economica, assegnando poi un ulteriore termine all’imprenditore per superare lo stato di crisi. Scaduto anch’esso, il tribunale potrà predisporre la pubblicazione della relazione del professionista nel Registro delle imprese.

Disposizioni, dunque, che prevedono un ruolo attivo del giudice e che non convincono appieno nemmeno Luciano Panzani, Presidente della Corte d’Appello di Roma: “L’intervento del tribunale – ha spiegato – potrebbe spaventare l’imprenditore, perché rende tutto più pesante. Questo fa sì che la procedura d’allerta, che dovrebbe stimolare l’imprenditore a far emergere tempestivamente lo stato di crisi, corra il rischio di funzionare meno”.

Qualche perplessità Panzani la esprime anche in merito all’ampliamento del ruolo del giudice sulla valutazione della fattibilità del concordato preventivo. La legge delega, infatti, attribuisce al giudice dei poteri di verifica anche sulla fattibilità economica del piano, prima affidata al voto dei creditori: “Assegnare questa valutazione al giudice – ha concluso – significa riconoscergli una competenza che probabilmente non ha nel suo bagaglio culturale. Il rischio che corriamo è che si possa creare un ruolo inquisitorio del tribunale, in un procedimento che in definitiva riguarda imprenditore e creditori”.

Di certo, bisognerà investire sulla “formazione” dei giudici e magari procedere anche ad una “riorganizzazione degli uffici” in funzione della nuova suddivisione delle competenze prevista dal disegno di legge. Ne è consapevole Giovanni Legnini, Vicepresidente del CSM, che, nel corso del convegno, si è espresso proprio sull’attribuzione delle competenze ai tribunali: “Così come viene ipotizzata – ha rimarcato – mi pare un po’ frastagliata. Forse servirebbe una riflessione più puntuale ma Governo e Parlamento avranno modo di farla e noi stessi daremo un contributo in questo senso”.
Nel complesso, però, l’opinione sul testo, definito “un passo in avanti rilevantissimo”, rimane “ampiamente positiva”.

E lo stesso vale per i commercialisti, rappresentati, nell’occasione, dai due Consigliere nazionali con delega alla materia, Felice Ruscetta e Maria Rachele Vigani, e dal Presidente del CNDCEC, Gerardo Longobardi: “Abbiamo qualche perplessità – ha dichiarato quest’ultimo –, come ad esempio sull’introduzione di una definizione dello stato di crisi, ma siamo sostanzialmente soddisfatti di un testo che ha recepito molti dei nostri suggerimenti, soprattutto in merito alla necessità di garantire la competenza dei professionisti coinvolti nelle procedure di risoluzione delle crisi, che avranno un ruolo decisivo nel fare sì che questa riforma abbia successo”.