lunedì 28 dicembre 2015

Non solo vantaggi dall'IVA al 5% rese da cooperative sociali e loro consorzi.

La nuova aliquota ridotta prevista dalla legge di stabilità comporta anche conseguenze sul piano economico e finanziario

La previsione di una nuova aliquota ridotta in materia di IVA presenta indiscutibili vantaggi dal punto di vista sociale. La sua introduzione comporta, tuttavia, anche delle implicazioni di carattere economico e finanziario.
La legge di stabilità 2016 ha previsto l’applicazione dell’aliquota IVA del 5% alle prestazioni di servizi di cui ai numeri 18), 19), 20), 21) e 27-ter) dell’art. 10, primo comma del Decreto IVA rese in favore dei soggetti indicati nello stesso n. 27-ter) da cooperative sociali e loro consorzi.

Secondo quanto previsto dalla direttiva IVA (direttiva 2006/112/CE), gli Stati membri applicano un’aliquota IVA normale (per l’Italia, attualmente 22%), la quale non può essere inferiore al 15%, e possono applicare una o due aliquote ridotte, la cui misura non può essere inferiore al 5%, unicamente, tuttavia, in quest’ultimo caso, con riferimento alle cessioni di beni e prestazioni di servizi elencati nell’allegato III alla stessa direttiva comunitaria.
Inoltre, in relazione a talune cessioni di beni e prestazioni di servizi è possibile utilizzare un’aliquota ridotta inferiore al minimo prescritto (vale a dire al 5%), c.d. “aliquota super-ridotta”, laddove la stessa era già prevista al 1° gennaio 1991 (c.d. clausola di “stand still”).

Al riguardo, la Corte di Giustizia Ue, nella sentenza del 28 febbraio 2012, causa C-119/11, ha chiarito che nel caso in cui a un bene o servizio si applichi un’aliquota IVA inferiore al 5% e successivamente l’aliquota relativa agli stessi venga portata al di sopra di tale soglia, non è più possibile reintrodurre la misura dell’aliquota originaria.

Ritornando alla nuova aliquota introdotta, la novità normativa fa sì che, almeno in via teorica, venga violata la disposizione di cui all’art. 98 della direttiva 2006/112/CE, la quale consente agli Stati membri di applicare soltanto una o due aliquote ridotte.
Tuttavia, come accennato in precedenza, l’aliquota IVA del 4% costituisce una aliquota “super-ridotta”, la quale dovrebbe, conseguentemente, assumere una connotazione diversa rispetto alle ordinarie aliquote ridotte.
A conferma di ciò la circostanza che anche altri Paesi europei già applicano più di due aliquote inferiori alla misura del 15% (es. Francia).

Ciò premesso, va, tuttavia, evidenziato che l’aumento del numero di aliquote IVA applicabili, comporta, oltre agli evidenti vantaggi di natura sociale, anche delle conseguenze sul piano economico e finanziario.
Ad esempio, dall’introduzione della nuova aliquota ridotta al 5% potrebbe derivare un non trascurabile effetto “emulativo”, dal momento che le diverse categorie economiche e sociali potrebbero essere da ciò incentivate a chiedere, con riferimento, naturalmente, alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi elencati nell’allegato III della direttiva 2006/112/CE, l’abbassamento dell’aliquota IVA dal 10 al 5% o, peggio ancora, dal 22 al 5%, rischiando di compromettere l’equità della distribuzione del vantaggio fiscale (potrebbe, naturalmente, accadere anche il contrario e cioè che altre operazioni passino dal 4% al 5%).

Costi di adeguamento e possibili effetti distorsivi

Inoltre, un numero elevato di aliquote IVA ridotte comporta per le aziende e le Autorità fiscali costi significativi di adeguamento alla normativa, concernenti, per queste ultime, la gestione e il controllo dell’applicazione delle aliquote ridotte, con esborsi notevoli in termini di risorse umane e finanziarie (i costi, naturalmente, sono proporzionali al numero di beni e servizi interessati dalla differenziazione delle aliquote).

Vanno, altresì, considerati i possibili effetti distorsivi sul mercato interno, fermo restando, tuttavia, che la differenziazione tra aliquote può consentire di aumentare il consumo relativo a determinati beni e/o servizi.

Va evidenziato, infine, che il prossimo anno la Commissione europea pubblicherà un piano d’azione per un regime definitivo dell’IVA, nel quale verrà valutata la possibilità di concedere una maggiore autonomia agli Stati membri nella fissazione delle aliquote, nonché il metodo per trattare le deroghe temporanee che consentono esenzioni, aliquote zero e aliquote super-ridotte, le quali dovranno essere riesaminate dopo l’introduzione del regime definitivo dell’IVA.