Democrazia minore
di Gianni Baget Bozzo - tratto da Il Giornale del 7 dicembre 2006
Anche i poliziotti manifestano contro la Finanziaria. Ciò è un segno di democrazia, ma quando le forze che non si propongono obiettivi diversi da quelli della presente società manifestano in piazza con tanta frequenza e con diverse motivazioni vuol dire che vi è uno stato di eccezione, oltre il contenuto della Finanziaria. Ciò è tanto più significativo in quanto tutte le forze legittimate dalla storia politica italiana sono nel governo e anche l'Udc si stacca in linea di principio dalla Casa delle Libertà. A tanta legittimità politica corrisponde una vigorosa protesta sociale.
Questo non preoccupa il presidente del Consiglio per il fatto che egli non rappresenta i partiti che lo sostengono ma è, per questi stessi partiti, una sorta di stato di necessità: «Se vado a casa io, vanno a casa tutti», ha detto Prodi qualche tempo fa. Le manifestazioni di piazza logorano i partiti che sostengono il governo ma li obbligano a sostenerlo perché hanno scelto di identificare nel Professore la loro unità politica di insieme. E quindi ogni partito si rappresenta nel presidente del Consiglio come parte della sua identità e sente il logorio del dissenso sociale diffuso. Prodi è rafforzato dalle manifestazioni di dissenso ed anzi ha sostenuto che esse, nella loro diversità, rappresentano la conferma della giustezza della sua linea. Legittimano, protestando, l'equilibrio della Finanziaria che avversano.
Anche Romano Prodi è un simbolo. Un simbolo del vincolo europeo della politica italiana, un vincolo in cui egli ha voluto fare consistere l'impostazione politica, facendo di Tommaso Padoa-Schioppa, un banchiere europeo, il ministro dell'Economia e accentuando i tempi del rientro dal deficit. Prodi si è posto come commissario ad acta della politica italiana, legittimandosi non con il consenso degli elettori ma con quello della Commissione europea. Ma il presidente del Consiglio intende anche perseguire una sua linea personale, fondata sull'intervento dello Stato nell'economia. Lo si è visto nel caso Telecom, quando ha cercato di fare acquistare la telefonia dalla Cassa depositi e prestiti, un tentativo naufragato per l'imprudenza di Rovati, suo collaboratore dai tempi della presidenza dell'Iri.
Romano Prodi è l'erede politico di Beniamino Andreatta, che stabilì, dopo la crisi dello Ior, un nuovo patto tra la finanza cattolica e la finanza laica. La banca è onnipotente in un Paese in cui è debole il mercato azionario. E la fusione tra Banca Intesa e San Paolo indica il formarsi di un potente polo bancario che può intervenire anche per finanziare Alitalia come ha finanziato la Fiat. Non è un caso che la liquidazione del vecchio sistema di Antonio Fazio abbia preceduto un nuovo equilibrio tra i poteri bancari, con le fusioni italiane che ne sono seguite. Prodi perciò esprime dei poteri di fatto che condizionano l'equilibrio dei vari partiti presenti nella coalizione. Per questo il suo simbolo non è la ricerca del consenso; piuttosto egli esprime un potere sul consenso dei vincoli dei «poteri forti» che pesano sulla politica italiana. Non cerca di piacere al popolo e all'elettorato. Questo è il compito dei partiti che devono sostenerlo come forma di compromesso tra loro e i poteri di fatto.
Vi è dunque un vincolo sulla democrazia italiana e sulla politica italiana di cui Prodi è l'espressione. Egli pensa che la democrazia sia impotente e i partiti costretti. E il fatto che gli stessi partiti antagonisti abbiano con lui un vincolo particolare gli serve per impedire il rafforzarsi delle componenti a lui avverse nel Ds e nella Margherita. Ds e Margherita hanno conferito al Professore anche il compito di garante e fondatore della loro fusione nel partito democratico, legando ancora più strettamente a lui la loro identità. Le manifestazioni popolari, e soprattutto quella del 2 dicembre, sono indicazioni che la democrazia è nel disagio perché avverte su se stessa un vincolo che non ha accettato e che essa subisce. Oramai Prodi non cerca consenso perché usa, ma non esprime, la democrazia italiana.
Gianni Baget Bozzo