Giornale di Brescia di Domenica 22 luglio 2007 - Lettere al Direttore
Tutti invocano i piaceri futuri della globalizzazione, gli effetti benefici del mercato allargato, le liberalizzazioni spinte in Italia (leggi decreti Bersani) e nessuno si preoccupa degli effetti che queste mutazioni possono portare nel breve e medio periodo.
Tutti crediamo che un mercato mondiale porti dei benefici in quanto vi sarà una concorrenza talmente forte da far sì che i beni di consumo siano offerti al miglior prezzo possibile.
Teoricamente tutto ciò è vero!
Peccato che nell’economia vi siano delle variabili:
per esempio la distanza dal mercato finale, che incide nei mezzi di trasporto e quindi sul costo finale del bene;
per esempio le condizioni climatiche che possono incidere sui costi energetici;
per esempio l’approvvigionamento che sarà gravato dalla distanza della materia prima;
per esempio dal costo della vita, variabile di luogo in luogo, per tutti i precedenti fattori “produttivi”.
A tutto questo dobbiamo aggiungere i costi della produzione che variano di paese in paese creando luoghi maggiormente appetibili, per l’impresa, in termini di minori costi di produzione.
Nei paese in via di sviluppo (PVS) tutto questo è visibile ed un esempio è dato dai paesi del sud-est asiatico (Taiwan, Corea), dai paesi dell’est europeo e più recentemente dalla Cina e dall’India.
Per ristabilire un campo di gioco equo il mercato deve essere regolato: semplice. Altrimenti saremmo nel famoso “far west” del primo arcaico libero mercato: grezzo, funzionale ma difettoso!
Le imprese sono in questo caso dei semplici “player” e non possono far altro che miscelare al meglio i fattori produttivi cercando di ottimizzare sempre più gli stessi. Ovvio che, se sul mercato vi sono dei competitori, la scelta è obbligata per le imprese e rivolta a rimanere in gioco. Chi sbaglia paga e viene eliminato. Possiamo certamente dilungarci sulla moralità o meno delle imprese che delocalizzano la loro produzione dove è alto il ricorso al lavoro minorile ma non è questo il ruolo che loro spetta.
A livello internazionale le nazioni, le comunità internazionali, il WTO, i sindacati (perchè no) potrebbero impegnarsi maggiormente e imporre delle sanzioni, leggi dazi, nei confronti di questi paesi che non riconoscono i più elementari diritti: dal lavoro minorile, ai diritti previdenziali ed assistenziali.
A livello nazionale gli stessi organi di controllo, per difendere i posti di lavoro, potrebbero farsi carico di convincere il governo ad essere più competitivo ed attraente nei confronti degli investitori internazionali in termini fiscali e contributivi.
In Europa abbiamo una delle più alte tassazioni (anche la Germania se ne è resa conto e dal 2008 intraprenderà la strada della diminuzione delle imposte) e non possiamo sempre negare l’evidenza spargendo i fumogeni dell’evasione fiscale. Esiste, innegabile! Il problema deve essere risolto ma non possiamo distruggere un tessuto produttivo in nome di questa. Dobbiamo controllare ed eliminare le imprese che distruggono la competizione, drogano la concorrenza applicando metodi sleali come la frode fiscale, la falsa fatturazione, la manodopera in nero. Cerchiamo di essere severi ed implacabili davanti a queste situazioni! Ne beneficeranno tutti! Si tratta di ristabilire la legalità. L’Italia paese dell’impunità!
Credo sia giunta l’ora di non ascoltare più le stridule sirene (vero on.le Squassina) che inveiscono contro il “cattivo capitalista americano che investe in uno stato, quello polacco, dove non è garantita nemmeno la pensione”! Lasciamo da parte gli americani ed i polacchi e laviamo i panni sporchi in casa nostra in silenzio e con coraggio.
Che ciascuno faccia la sua parte compresi i sindacati che sono ben rappresentati nelle due più alte cariche dello stato (dopo il Capo delle Stato): penso si tratti di un record a livello mondiale!